DELITTO CESARONI, DOPO 30 ANNI NESSUN COLPEVOLE

DI CLAUDIA SABA

È il 7 agosto del 1990 quando il corpo di Simonetta Cesaroni viene ritrovato senza vita a Roma, in via Poma n.2.
Quel giorno Simonetta, 19 anni, si trova ancora al lavoro per una sostituzione estiva.
È la prima settimana di agosto di una Roma quasi deserta.
Sta per andare in vacanza e si trova negli uffici dell’A.i.a.g. dove, prima di partire, deve terminare alcune pratiche.
Lo studio si trova in un grande complesso residenziale a pochi passi da piazza Mazzini.
Elegante e ben frequentato, il palazzo era stato disegnato negli anni 30 dall’architetto Cesare Valle.
Sei palazzine di lusso, diversi portieri, tra cui Pietro Vanacore, detto Pietrino.
È responsabile della scala B dove abita insieme alla moglie, Giuseppa De Luca.
Il palazzo è sempre stato tranquillo e abitato da gente per bene.
In passato però, era stato teatro di una tragica morte. Quella di Renata Moscatelli, trovata soffocata con un cuscino nella sua casa.
Una di quelle brutte storie di cui nessuno vuole parlare.
Simonetta, certamente non ne sa nulla quando, quel pomeriggio del 7 agosto, entra nel palazzo per andare in ufficio.
Sale i gradini e varca la soglia di quella porta, da cui, non uscirà mai più viva.
Il suo corpo senza vita viene scoperto dalla sorella che, preoccupata dal suo ritardo, la chiama ripetutamente al telefono dell’ufficio, ma lei non risponde.
Il tempo passa,
Simonetta non rientra a casa e non da’ sue notizie.
Spaventata, la sorella Paola si mette in contatto con Salvatore Volpone.
È lui ad avere le chiavi dello studio.
Sono le 20 quando arrivano davanti all’appartamento.
Salgono al terzo piano e
Volpone apre.
Il silenzio è tombale.
La luce accesa.
Volpone controlla tutte le stanze poi si ferma davanti a una porta e indietreggia allontanando Paola.
Sul pavimento, in un lago di sangue e seminuda, c’è la povera Simonetta.
Il corpetto è sollevato sul seno scoperto.
E’ priva di biancheria ma con i calzini ancora ai piedi.
La posizione è scomposta.
Sul corpo segni di coltellate agli occhi, nella vagina, sui seni, le gambe divaricate.
C’è rabbia in quelle ferite inferte sul volto, sull’addome, sui seni.
Un morso è ben visibile sul capezzolo.
L’autopsia rivelerà che Simonetta ha lottato con
l’assassino che l’ha bloccata spingendola a terra
presumibilmente per violentarla.
Dopo la rabbia, prima di uscire, le ha chiuso gli occhi.
Chi ha colpito Simonetta, sapeva esattamente come muoversi.
Probabilmente conosceva bene l’ambiente. Ha tentato di ripulire tutto portando via le chiavi di Simonetta.
Ma tracce di sangue sono state rinvenute sul telefono e la maniglia della porta.
I prelievi del DNA effettuati dalla scientifica rivelarono la presenza di due persone.
Quella del killer e di un “pulitore”.
Alcuni vestiti di Simonetta non furono più rinvenuti, probabilmente portati via dall’assassino.
Dalla borsetta mancavano le chiavi, utilizzate per chiudere l’appartamento.
L’omicida, voleva forse dimostrare di essere entrato dalla porta aperta da Simonetta e non con le sue chiavi.
I primi sospetti cadono subito sul fidanzato Raniero Busco, accusato di averla uccisa a coltellate dopo un tentativo di approccio sessuale.
Ma viene scagionato in Tribunale.
Le indagini si orientano anche verso gli inquilini dell’edificio.
Il Dna prelevato dal sangue sulla porta si confronta con quello di alcune persone sospettate.
Tra queste c’è anche il portiere Pietrino Vanacore che dopo 26 giorni in carcere, viene rilasciato per mancanza di prove.
Tra ipotesi e congetture spunta un’altra pista.
Quella di Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare, che vive qualche piano più su dell’appartamento dove è stato commesso il delitto.
Una testimonianza sembra inchiodarlo.
Mentre sono in atto le
indagini, un austriaco, Roland Voller, contatta gli inquirenti.
Dice di sapere chi ha ucciso Simonetta Cesaroni.
Sarebbe entrato in contatto casualmente la ex moglie di Raniero Valle, figlio dell’architetto Cesare.
E avrebbe rivelato a Voller che il figlio Federico, quel 7 agosto 1990, sarebbe tornato a casa sporco di sangue.
Probabilmente dopo aver ucciso Simonetta.
Per il sospetto di una presunta relazione tra suo padre e la ragazza.
Ma l’ipotesi non regge.
Giuliana Valle nega tutto e il testimone viene giudicato non credibile.
Si torna al sospettato principale, Raniero Busco, fidanzato di Simonetta, che ha un alibi vacillante fornito dalla madre.
C’è la presenza del DNA sul corpo di Simonetta, in particolare sul seno, e un movente, rappresentato dal conflitto tra i due.
Nel 2009, il pubblico ministero Ilaria Calò lo accusa di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà.
Solo l’anno dopo verrà chiamato a testimoniare Pietrino Vanacore, il portiere.
Si era spesso pensato che il portiere Pietrino Vanacore sapesse molto più di quanto raccontato.
Ma poco prima della sua testimonianza, viene trovato morto, annegato, a Torre Ovo, vicino Torricella, dove viveva.
Lascia un biglietto: “Vent’anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”.

Raniero Busco, unico a processo, viene assolto per non aver commesso il fatto.
Di Simonetta Cesaroni restano poche pagine di un diario e qualche lettera.
Raccontano sogni e tutte le speranze dell’amore che aspettava di incontrare.
Raccontano la storia di una ragazza piena di speranza per il futuro.
Raniero Busco, al processo, raccontò una storia diversa.
Che Simonetta, per lui, era stata solo una parentesi passeggera.
Oggi, dopo 30 anni, l’assassino di Simonetta non ha ancora un nome.