DI ALFREDO FACCHINI
Con Israele telecomandato dall’amministrazione Trump, il diritto internazionale è definitivamente morto
Basta leggersi la Risoluzione 2131 dell’ONU del 21 dicembre 1965 per capire di cosa stiamo parlando: nessuno Stato ha il diritto di intervenire, direttamente o indirettamente, negli affari interni di un altro Stato. Una formula netta, inequivocabile, votata da 109 Paesi con la sola astensione – emblematica – della Gran Bretagna.
Tel Aviv, che da anni agisce come punta avanzata della strategia americana in Medio Oriente, ha trasformato il principio di sovranità statale in carta straccia. L’Iran è il nemico da abbattere, e tutto è lecito: sabotaggi, attentati, operazioni sotto copertura, campagne di disinformazione, finanziamento di opposizioni armate. Con la benedizione di Washington prima, e dell’asse euro-atlantico che fa dell’ipocrisia geopolitica la propria lingua madre.
Il “regime change” è tornato di moda
ma questa volta non c’è neanche più bisogno di nascondersi dietro i paraventi umanitari o democratici. Si parla esplicitamente di “rimuovere la minaccia iraniana”, di “porre fine al regime degli ayatollah”, in barba a qualunque principio di autodeterminazione dei popoli. La 2131? È diventata un documento di archeologia giuridica. Un testimone muto di un ordine mondiale che pretendeva di fondarsi sul diritto, e non sul ricatto militare.
Come si può chiedere agli altri ciò che non si è disposti a fare per primi?
È talmente evidente che se l’Iran avesse avuto l’atomica oggi non ci sarebbe la guerra. Basta guardare alla Corea del Nord: dittatura minacciosa per antonomasia.
Eppure intoccabile. Nessuno parla di cambio di regime a Pyongyang. Perché? Perché ha l’arma nucleare. L’unica vera garanzia di sopravvivenza nel mondo post-2131. La lezione è chiara, brutale, e sotto gli occhi di tutti: la bomba non è più una minaccia, è una polizza sulla sovranità.
Pakistan e India hanno l’atomica
Ed è proprio per questo che hanno smesso subito di farsi la guerra. Perché quando entrambi i giocatori al tavolo sanno di avere la possibilità reale di annientarsi, la guerra convenzionale diventa un rischio troppo alto anche per i più fanatici. Nessuno dei due Paesi ha rinunciato al controllo del Kashmir. Ma nessuno ha più premuto fino in fondo sull’acceleratore. Il confine resta teso, i morti ci sono ancora, ma la guerra su vasta scala è sparita dal radar. È questo il paradosso inquietante che si sta imponendo. E allora il nodo è chiaro: o si ricostruisce un ordine globale dove il diritto vale più della paura, o sarà quest’ultima a dettare le alleanze, le guerre, la sopravvivenza.
Chi scrive non fa il tifo per l’atomica all’Iran
Ma è proprio questo il punto: viviamo in un mondo dove il deterrente nucleare ha smesso di essere un incubo e si è trasformato in assicurazione sulla vita dei regimi.
Il diritto internazionale, ridotto a simulacro, ha lasciato il posto alla logica del terrore preventivo. Non contano più le carte firmate o le risoluzioni approvate. Conta solo chi può farsi temere abbastanza da non essere attaccato. E in un mondo del genere, chi resta disarmato resta esposto. Chi resta esposto, prima o poi, viene colpito.
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O si ritorna al diritto internazionale che vale per tutti — senza eccezioni, senza doppi standard, senza immunità per gli “amici” — oppure si apre la porta a un mondo dove conta solo la forza. Il bullismo geopolitico.
Alfredo Facchini