DI ENNIO REMONDINO
Da REMOCONTRO –
I servizi segreti ucraini hanno colpito il ponte di Crimea cercando l’attenzione del mondo su azioni eclatanti, a compensare l’inconsistenza della difesa territoriale del suo esercito stremato. Ed è il bis dopo il durissimo colpo alle basi dell’aeronautica russa. Di fatto, una nuova fase del conflitto e non verso il suo superamento
Due guerre in corso e una trattativa a morsi
In Ucraina le forze russe continuano ad avanzare sul fronte est. I difensori sono in evidente difficoltà, costretti a impegnare gli stessi reparti per mesi senza alcun riposo. Di fatto l’Ucraina non riconquisterà i suoi territori. E senza aiuti militari dall’occidente non potrà resistere come ha fatto finora, avverte dal manifesto Sabato Angieri. «Tuttavia, ed è questa la scommessa di Kiev, può fare ancora malissimo al gigante eurasiatico. Solo che non bisogna mai dimenticare che la guerra è un vortice».
La guerra è un vortice
Alle azioni ucraine corrisponderanno risposte altrettanto devastanti, se non di più, considerata la maggiore disponibilità e potenza di fuoco di Mosca. Gli ucraini saranno costretti ad alzare sempre di più il livello per dimostrare che la loro lotta non è finita? E il vortice della guerra si sta allargando. La vecchia Europa – Regno Unito e Germania in testa- si riarma innalzando lo spauracchio della minaccia russa alle porte come ci ha raccontato Orteca. Più armi uguale più instabilità e rischio di incidenti e di catastrofi, considerando i leader che oggi sostituiscono i Churchill, i de Gaulle e i Roosevelt. Per la parte dei buoni.
Chi ha fatto più male
L’annuncio dell’attacco è stato dato dallo stesso Sbu, il servizio segreto ucraino sul proprio sito internet e sui social network. «L’operazione è durata diversi mesi. Per gli ucraini i supporti subacquei dei piloni sono stati «gravemente danneggiati con 1.100 kg di esplosivo; il ponte è infatti in stato di emergenza». Ma Mosca smentisce e ridimensione: non solo che l’attacco non avrebbe avuto successo, ma che non si è trattato neanche della geniale operazione di intelligence che gli ucraini vorrebbero far credere. A provocare l’esplosione, sostengono, è stato un drone marino (Usv) denominato «Marichka», un siluro teleguidato di circa sei metri capace di raggiungere i mille chilometri di distanza. In ogni caso, i fatti sono che il traffico sul ponte è stato sospeso per circa tre ore tra le 4 e le 7 locali, prima di riprendere a funzionare normalmente.
Espressione della potenza e dell’orgoglio russo
Quello di Crimea è il ponte più lungo d’Europa e con i suoi 19 km collega il territorio della Federazione russa alla penisola di Crimea attraverso lo stretto di Kerch. Dopo il referendum e l’annessione della Crimea, Putin ha investito moltissimo su questo progetto, creando un fondo d’investimenti che ha superato i quattro miliardi di dollari per ultimare l’infrastruttura in tempi record. Solo due anni (2016-18) per l’apertura al traffico su gomma e tre per i treni. «Per il capo del Cremlino non si tratta solo di una grande opera ingegneristica, ma di un simbolo di potere che dimostra al mondo l’eccellenza tecnica e la volontà di potenza dei russi. Colpirlo vuol dire assestare un colpo diretto a lui –segnala ancora Angieri-. E gli ucraini lo sanno, non a caso nel 2022 l’attacco è arrivato la notte del compleanno di Putin 7 ottobre».
“Ci sono ovviamente delle questioni strategiche: attraverso il ponte di Crimea sono passati fin dall’invasione dell’Ucraina tonnellate di rifornimenti ai battaglioni al fronte. Tutt’oggi le batterie missilistiche russe in Crimea e le forze di occupazione ricevono rifornimenti attraverso questa via.”
Evoluzione atomica, la pericolosa carta ucraina nel conflitto
Francesco Strazzari affronta invece un altro aspetto ancora più preoccupante. «Secondo i trattati sul controllo degli armamenti, le superpotenze devono mantenere i bombardieri strategici ben visibili ai satelliti per consentire il funzionamento dei meccanismi di allerta. Facendo leva su questa garanzia per acquisire invece i propri bersagli, l’attacco ucraino non è altro che un ulteriore episodio del processo di smantellamento dell’architettura di sicurezza costruita nel tempo per garantire la pace». Di fatto l’erosione del regime di controllo sugli armamenti è iniziata l’indomani dell’attacco dell’11 settembre 2001, quando i repubblicani Usa, considerando la Russia una ‘potenza degradata’, ignorarono le proteste del Cremlino sulle loro iniziative missilistiche.
Danni reali soprattutto alla fiducia
Putin ha minimizzato, affermando che la Russia ha perso solo 4% dei propri bombardieri strategici, contro il 34% di cui parlano gli ucraini. «Non sappiamo cosa sia vero, né quale risposta seguirà. Ma è chiaro che un attacco diretto sulla capacità di deterrenza russa pone il Cremlino davanti ad una scelta sulle priorità; e che, comunque, da domani sarà difficile ispezionare ovunque ogni carico merci per timore di nuovi attacchi». L’attacco ucraino arriva al culmine di un processo di trasformazione della guerra e della politica che rende molto più difficile e imprevedibile il calcolo strategico. (Un confine europeo fatto di nuove barriere e trincee, una Polonia sempre più militarizzata che elegge, grazie al voto dell’estrema destra nazionalista anti-Ue, anti-ucraina e filo-russa).
«Da anni ormai gli analisti sono interpellati da media in cerca di sensazione per sapere se siamo di fronte a una svolta negoziale, a una Caporetto o una Pearl Harbor: la realtà è che, dopo che Trump ed accoliti si sono illusi di poter portare Putin a desistere dalla richiesta di resa incondizionata ucraina, la guerra avanza ancora, ed è più che mai necessario evitare di fornire narrazioni mediatiche che la sostengono».
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Articolo di Ennio Remondino dalla redazione di
4 Giugno 2025