DI ALFREDO FACCHINI
Il botto
28 maggio 1974. Brescia. Piazza della Loggia.
Franco Castrezzati, sindacalista, sta parlando davanti ad una piazza gremita di persone radunate in nome dell’antifascismo.
Alle 10.12 un botto tremendo squarcia la piazza. Un ordigno nascosto in un cestino esplode spazzando via la vita di 8 persone, tra cui un bambino di soli otto anni. Oltre cento i feriti.
È una strage fascista
Ma non solo. La manovalanza è nera, ma i burattinai sono da ricercare negli apparati infedeli dello Stato, in combutta con pezzi di intelligence statunitense e di apparati della Nato deviati.
Obiettivo: destabilizzare per far precipitare il Paese nell’instabilità, così da favorire una svolta autoritaria. È la strategia della tensione.
La strategia della tensione
La risposta degli antifascisti è impressionante e il giorno dopo a Roma in Piazza San Giovanni confluiscono oltre 300mila persone, a Milano in piazza del Duomo oltre 200mila, a Napoli e Bologna in 100mila.
La strage ha avuto un percorso giudiziario tormentato, come da copione, quando è in ballo l’eversione nera e i loro manovratori.
Le indagini iniziali si smarrirono in una serie di piste false e depistaggi.
Sette le inchieste e 18 i processi
I condannati. In via definitiva: Maurizio Tramonte, militante di Ordine Nero e spia del Sid, il servizio segreto militare e Carlo Mario Maggi, referente di Ordine Nuovo per il Triveneto, condannato come mandante della bomba, morto ai domiciliari nel 2018. Il 3 aprile 2025, il Tribunale per i Minorenni di Brescia ha condannato Marco Toffaloni a 30 anni di reclusione per la sua partecipazione alla strage. All’epoca dei fatti, Toffaloni era un militante neofascista sedicenne di Verona. Le prove a suo carico includono una fotografia scattata subito dopo l’esplosione, che lo ritrae vicino al luogo dell’attentato, e le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giampaolo Stimamiglio, secondo cui Toffaloni avrebbe ammesso la sua presenza a Brescia quel giorno .
Attualmente, Toffaloni vive in Svizzera sotto il nome di Franco Maria Muller. Le autorità svizzere hanno rifiutato la sua estradizione, ritenendo il reato prescritto secondo la legislazione elvetica .
A Brescia è in corso il processo contro Roberto Zorzi, altro presunto esecutore materiale della strage. Zorzi, oggi settantenne, risiede negli Stati Uniti, dove gestisce un allevamento di dobermann chiamato “Il Littorio”. Secondo l’accusa, avrebbe partecipato alle riunioni preparatorie dell’attentato e sarebbe stato colui che materialmente ha collocato l’ordigno nella piazza.
Non basta piangere i morti
Serve memoria attiva. Serve giustizia piena. Serve chiamare per nome i colpevoli e i complici, soprattutto se vestono divise, se siedono nei palazzi. Perché senza verità e giustizia, la cosiddetta democrazia, è una scatola vuota.
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Alfredo Facchini