DI PIERO ORTECA
Da REMOCONTRO –
Ci risiamo. Stare appresso ai proclami di Trump significa navigare a vista in politica estera. Ma in economia è ancora peggio, perché i mercati sono fatti di ‘aspettative’, che quando vengono tradite, le reazioni negative, veicolate dalla telematica, fanno il resto. Ieri le Borse hanno preso una scivolata, bruciando solo in Europa 183 miliardi di euro.
L’Europa che Trump non sopporta
Una semplice ‘intenzione’, manifestata da Trump, di alzare i dazi sui prodotti dell’Unione Europea fino al 50%, entro il 1° giugno, ha già cominciato a seminare il panico. Il fatto è che la nuova sparata dal Presidente americano, non è un ordine esecutivo, ma una vera e propria minaccia, che arriva ‘via social’. Ma che coglie lo stesso tutti di sorpresa, perché ci sono dei negoziati in corso e una moratoria valida fino all’8 luglio. Insomma, a Bruxelles pensavano di stare tranquilli per un altro mesetto e mezzo, mentre gli ‘sherpa’ lavoravano. Invece la Casa Bianca ha rimesso (traumaticamente) tutto in discussione, rimangiandosi di fatto gli impegni e attaccando pure Apple, col 25 per cento sui telefonini.
Solo “disturbi caratteriali” o peggio?
Come in tutte le cose, la verità può avere diverse sfaccettature, bisogna azzeccare l’angolatura dalla quale si guardano i fatti. Alcuni analisti, si preoccupano di citare lo squilibrio (effettivo) nella bilancia commerciale tra gli States e l’UE. I dati per il 2024, parlano di un disavanzo complessivo di oltre 235 miliardi di dollari subito da Washington (+370 di export e -605 di import). Complessivamente, l’anno scorso, gli Stati Uniti hanno però avuto un disavanzo totale di 926 miliardi di dollari. Per cui, l’Unione ha un peso relativo di circa il 25% sul rosso di tutta la bilancia commerciale Usa. Una situazione certamente gestibile, appunto sulla base di negoziati mirati. Tuttavia, la sensazione è che ci debba essere dell’altro.
Financial Times
Vediamo come il Financial Times riporta le ‘giustificazioni’ di Trump: «Questa mossa inasprisce la guerra commerciale con l’UE – scrive il giornale britannico – appena due settimane dopo che gli Stati Uniti avevano concordato con la Cina di ridurre i dazi doganali, in un patto che ha confortato gli investitori globali». In un post pubblicato venerdì sulla sua piattaforma Truth Social, Trump ha attaccato il blocco per ‘barriere commerciali, tasse IVA, ridicole sanzioni aziendali, barriere commerciali non monetarie, manipolazioni monetarie e cause legali ingiuste e ingiustificate contro le aziende americane’. Ha poi aggiunto che «le nostre discussioni con loro non stanno portando a nulla! Pertanto, raccomando un dazio diretto del 50% sull’Unione Europea, a partire dal 1° giugno 2025».
Isteria contro cosa?
Molte delle contestazioni sollevate da Trump riguardano più il modello politico e burocratico dell’organizzazione commerciale europea, piuttosto che il livello delle tariffe. Queste ultime sono viste come una sorta di compensazione di ciò che viene definito come un ‘deficit’ della libertà d’impresa. Il Wall Street Journal cita Scott Bessent, il Segretario al Tesoro, che la ‘narrativa metropolitana’ dava in posizione critica nei confronti di Howard Lutnick, Segretario al Commercio, il vero ‘architetto dei dazi’. «Secndo Scott Bessent – scrive il Journal – il Presidente Trump ritiene che le proposte di accordi commerciali dell’Unione Europea ‘non siano state della stessa qualità’ di quelle degli altri partner commerciali». «La sospensione di 90 giorni dei dazi del 2 aprile si basava sul fatto che i Paesi o i blocchi commerciali si rivolgevano a noi e negoziavano in buona fede», ha dichiarato Bessent venerdì mattina alla Fox News. ‘Spero che questo possa accendere una scintilla nell’UE’, ha detto Bessent, secondo cui «gli accordi con gli altri partner commerciali ‘stanno procedendo rapidamente’».
In malafede chi? Euro-volenterosi sgraditi
La ‘fotografia’ fatta dal Wall Street Journal è esemplare, perché fa capire che, in questo momento, l’unica attività diplomatica (economica, ma possiamo dire anche politica) che alla Casa Bianca proprio non digeriscono è quella dell’Unione Europea. C’è molta irritazione, e non solo nel gruppo che fa capo a Vance, ma anche all’interno del Consiglio per la Sicurezza nazionale, per il gioco ‘a sparigliare’ che sta conducendo Bruxelles (su spinta baltica) nella crisi in Ucraina e più in generale sul tema della sicurezza in Europa. I ‘Volenterosi’ vengono percepiti, a torto o a ragione, come un duplicato molto raffazzonato dell’Alleanza atlantica, nel migliore dei casi. O come una riedizione in salsa europea del «complesso militare-industriale americano». Un’espressione che fu tramandata ai posteri da un Presidente-soldato come Eisenhower. E bisognerebbe anche dire che codesti ‘volenterosi’ hanno consentito ai poveri ucraini di combattere una guerra di massacri, con armi che almeno per due anni sono state fondi di magazzino.
“Vittoria a perdere”
“Ora che la ‘vittoria’ vaticinata è lontana per chiunque (ma questo lo sapevano tutti), rimane solo la propria coscienza, con cui fare i conti. E tanto sangue. Dunque? In sostanza, l’Europa unita, che è una magnifica e lodevole opera di ingegneria istituzionale, se affidata a una governance fatta da politici di grandi Paesi già in ‘crisi di sistema’ rischia di frantumarsi. E non sarà fabbricandosi immaginari nemici esterni, assetati di terre e di sangue, a farci ricompattare un Continente, asfissiato da quella stessa burocrazia pedante, e in alcuni casi parassitaria, che si diceva di volere eliminare. Come la storia insegna, la ragione non è mai tutta da un lato.”
***
COMMENTO di Mimmo Lombezzi