DA REDAZIONE
Graziella Di Mambro da ARTICOLO VENTUNO –
Tra i dettagli che iniziano ad emergere (finalmente) sul caso del generale Njiiem Almasri, il comandante libico arrestato a Torino il 19 gennaio 2025 e rimpatriato appena due giorni dopo, ci sarebbe anche la richiesta che la Libia fece all’Italia di liberarlo.
Lo si evince dalla memoria che l’Italia ha spedito, dopo due proroghe, alla Corte penale internazionale per difendersi dall’accusa di aver lasciato andare, appunto, un criminale su cui pendeva un ordine di carcerazione internazionale per reati di violenza gravissimi. In specie il Governo ha trasmesso alla Corte dell’Aja la propria memoria difensiva sulla vicenda del mancato trasferimento di Njiiem Almasri. Il documento, secondo quanto si apprende in queste ore, riassume la posizione dell’esecutivo italiano che dunque si difende dall’accusa di non aver eseguito il mandato d’arresto, di non aver perquisito Almasri, di non aver sequestrato i dispositivi in suo possesso e di aver sperperato denaro pubblico rimpatriandolo a Tripoli a bordo di un aereo dell’intelligence. Di quest’ultimo passaggio esiste la prova fotografica, diffusa dalla stessa Libia, e in quelle immagini si vede l’accoglienza trionfante del comandante.
Adesso i giudici della Corte penale dovranno analizzare la memora trasmessa da Roma e se non dovessero essere convinti delle ragioni dell’Italia, potrebbero rinviare il dossier all’Assemblea degli Stati parte oppure al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Intanto va avanti il procedimento aperto dal Tribunale dei Ministri per le responsabilità di eventuali violazioni commesse in Italia. nei giorni scorsi è stato sentito il capo della polizia, Vittorio Pisani nell’ambito dell’istruttoria a carico della premier Giorgia Meloni, dei ministri di Giustizia e Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Il termine, non perentorio, dei 90 giorni è scaduto a fine aprile, ma i magistrati competenti per i reati ministeriali sono ancora al lavoro nel procedimento trasmesso nei mesi scorsi dalla Procura di Roma alla luce di due denunce in cui si ipotizzavano, a vario titolo, i reati di peculato, favoreggiamento e omissioni di atti di ufficio.
Anche in questo caso le verifiche puntano a capire come sia avvenuta la liberazione del generale. L’indagine interna è scaturita da un esposto presentato a gennaio dall’avvocato Luigi Li Gotti. Pochi giorni più tardi un altro esposto è stato depositato da una vittima e testimone delle torture del comandante della polizia giudiziaria libica.
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Articolo di Graziella Di Mambro dalla redazione di
10 Maggio 2025