Il passaggio del testimone

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

«Lesione al menisco mediale del ginocchio destro»: è la diagnosi che ha costretto Novak Djokovic a ritirarsi dal Roland Garros a poche ore dai quarti di finale contro Casper Ruud. Un verdetto giunto mentre Jannik Sinner travolgeva il bulgaro Grigor Dimitrov, guadagnandosi così la semifinale.

Djokovic, che l’hanno scorso qui aveva vinto, perde tutti quei punti che sarebbero serviti per mantenere la vetta rivincendo il Roland Garros. Mentre Sinner, che oggi è in semifinale e l’anno scorso non andò oltre il secondo turno, ne prende una caterva, superando così il gigante serbo nel ranking mondiale. Ora è lui il numero uno del mondo, primo italiano nella storia.

Djokovic, invece, ha svoltato per il viale del tramonto. Quella lesione, se trattata chirurgicamente, prevede tempi di pieno recupero di un paio di mesi, beninteso in un atleta piuttosto giovane.

Ma infortunio a parte, lo avrebbe comunque atteso un compito proibitivo: eguagliare, per non perdere ulteriori punti in classifica, i piazzamenti dell’anno scorso nei tornei di Wimbledon, dove era arrivato in finale, e degli Us Open, che aveva stravinto. Obiettivi che oggi, dopo questo infortunio, diventano impensabili.

Così, Djokovic nei prossimi mesi scivolerà inesorabilmente in classifica, ora tallonato da giovani top player del calibro di Alcaraz, Medvedev, Zverev e Rublev, che non staranno certo lì a guardare. Un po’ come accadde nel 2022, il suo annus horribilis, quando gli fu impedito di partecipare agli Australian Open e agli Us Open perché non vaccinato, facendolo precipitare all’ottavo posto. Ma questa volta si tratta di un cammino ben più complesso e più difficile da gestire, rispetto a quello ostacolato da semplici restrizioni sanitarie.

Nei giorni scorsi molti suoi fan avevano celebrato le vittorie al quinto set su Musetti e Cerundolo, quest’ultimo un tennista di buon livello, ma senza alcuna solida esperienza nei tornei del grande slam. Mentre Musetti, si sa, a 21 anni non è ancora pronto per uno slam, dove si può arrivare al quinto set e lambire le cinque ore di gioco: talento straordinario, tende a crollare fisicamente e mentalmente già a partire dal terzo, quando sta bene.

Addirittura qualcuno ha sostenuto che quella di vincere al quinto set fosse stata una precisa scelta tattica del gigante serbo, che non essendo più un giovincello, si sarebbe mostrato arrendevole ai suoi avversari, in modo da indurli a prendere sotto gamba il match, per poi demolirli nelle fasi finali. Una stupidaggine colossale. A quei livelli nessuno ti regala niente. Anzi, se ti vedono barcollare rincarano la dose, soprattutto se di fronte hanno uno come Djokovic.

In ogni caso, i suoi fan già assaporavano il momento in cui domenica avrebbe alzato la coppa al cielo in quella Court Philippe Chatrier da 15 mila posti. Fino al tragico responso medico. E qui è sceso in campo anche qualche aspirante complottista: «Il Roland Garros e l’establishment tennistico hanno deciso una programmazione delle partite per ostacolare Novak Djokovic», si legge nella pagina di uno tra i più scalcagnati e temerari.

Burinate a parte, non c’è cosa peggiore che vedere il gigante serbo agonizzare contro tennisti mediocri che non vedono l’ora di prenderlo a pallate, per poi ripetere a se stessi, a familiari e amici il mantra «non ho mai vinto praticamente un cazzo, ma ho battuto Novak Djokovic». Un po’ quello che successe a Roger Federer, che continuò a disputare tornei anche quando pareva evidente che non ce la faceva più, fino a scivolare a quei posti del ranking mondiale che aveva agguantato a 16 anni.

E allora, che il gigante serbo si ritiri sull’Olimpo, dove lo aspettano in dodici per tempestarlo di domande, alle quali sono certo risponderà con la stessa passione che ha dedicato ad ogni colpo della sua strabiliante e commovente carriera. Con in saccoccia quei 24 slam, che resteranno un record ineguagliabile, almeno finché tutti noi resteremo in questa vita.