E INTANTO CONTINUANO A MORIRE …….

DI CLAUDIO KHALED SER

 

Nuova tragedia, solo l’ultima in ordine di tempo.

Mancano all’appello oltre 40 Persone, cadute in mare dal barchino che si é ribaltato, davanti alle coste di Sfax.
Li cercheranno e non li troveranno.
Sarà il mare forse a rendere i corpi, tra giorni, tra settimane…..
La tragedia infinita delle fughe, la disperazione che obbliga i Migranti a salire su delle carrette destinate ad affondare dopo poche miglia, barchette di ferro simili a catini messe in acqua sfidando ogni legge del mare.
Ma da dove arrivano queste bagnarole?
Basta fare pochi km nell’entroterra di Sfax, tra pomodori e peperoncini rossi, nelle cascine apparentemente dedite all’agricoltura.
E’ sera quando partiamo dal Café Nour alle porte di Sfax.
Prendiamo stradine in terra battuta nascoste da filari di “cactus berbere” silenzio intorno ed un cielo di stelle talmente pieno di luci che é difficile trovare un punto scuro.
La cascina sembra deserta, solo il bagliore a tratti di una fiamma ossidrica ci rivela che qualcuno sta lavorando dietro il fienile.
Ed eccola li, la barca di ferro, lunga più o meno otto metri larga due.
Sottile, quel che basta per galleggiare, leggera per non affondare.
Un catino per persone che vogliono fuggire.
XY mi rassicura, le sue barche non affondano.
Difficile credergli.
Picchia le mani sullo scafo per farti notare la solidità.
Vuole 10 mila dinari, poco più di 3 mila euro.
Più il trasporto fino alla costa.
Chiedo “Ma come ci arrivate al mare?”
Mi risponde che non sono affari miei.
E’ chiaro che non puoi portare una barca fino al mare se non hai “amici” che ti aiutano.
Chiedo un paio di giorni per decidere, lui mi risponde che tra un paio di giorni quella barca é già a Lampedusa.
Molto probabilmente sarà in fondo al mare con tutte le altre.
Ci spingiamo ancor di più nell’interno.
Un branco di cani ci insegue minaccioso poi ritorna tra gli alberi.
La “cascina” mette in mostra sull’aia i pomodori stesi sui teli.
Colpi di martello e i soliti bagliori della fiamma ossidrica.
Stesse dimensioni, forse leggermente più pesante, le lastre di ferro saranno di circa 5 mm.
Un ometto tozzo ci viene incontro, ha un bastone in mano che fa roteare quando parla.
Ci mostra la barca, picchia col bastone sullo scafo per farci notare la solidità.
Chiede 15 mila dinari, poco più di 4 mila euro.
Il trasporto va discusso con il cugino.
Stessa domanda “Come fate a portarla al mare?”
Lui estrae dalla tasca un rotolo di soldi, li agita nell’aria e risponde “con questi”.
Chiedo sempre i due giorni per riflettere.
Stessa risposta, tra due giorni la barca sarà in Italia.
O in fondo al mare.
Torniamo a Sfax che é quasi l’alba.
Dal minareto si leva la preghiera del muezzin.
Le stelle si stanno nascondendo dall’alba.
Alle porte della città un gruppo di “neri” seduti per terra.
Le prossime vittime del mare.
Non lo sanno, ma stanno già morendo, uccisi da quegli uomini che stanno costruendo le loro bare tra i pomodori.
E loro, sdraiati, aspettano che il mare se li porti via.