LETTA, MENO PROPAGANDA, PIÙ FATTI

DI MARIO BOFFO

Il Partito Democratico si avvia a un nuovo rischio di scarsi successi e di sostanziale irrilevanza, almeno sul piano nazionale; soprattutto se saranno confermate due anticipazioni del nuovo Segretario Enrico Letta, che mi sembrano nel merito o nel metodo foriere di divisioni e quindi di riduzione del consenso e dei futuri voti.

La prima è la proposta di estendere il voto ai sedicenni. Credo che questa non piacerà a moltissime persone, anche fra coloro che voterebbero per i Democratici; e quindi è sbagliata nel metodo, visto che un partito, benché non governista, benché non “di potere”, dovrebbe comunque mirare ad andare al governo al fine di realizzare le proprie politiche e dar vita alle proprie idee; diversamente non sarebbe un partito politico, ma un’associazione militante.

Questa proposta è del resto incomprensibile. A sedici anni si è adolescenti, non si è maggiorenni e non si dispone, per la legge, della piena capacità giuridica. Per quale motivo un sedicenne, che non può assumere decisioni sulla propria vita (sposarsi, concludere contratti, acquistare una casa, fare testamento…), sarebbe invece pienamente capace di esprimersi sui destini del Paese?

La proposta appare quindi inconcludente sotto molti profili. Lavorare per i giovani, cosa che peraltro Letta ha pure lodevolmente affermato, significa offrir loto opportunità di buona educazione e formazione, opportunità di lavoro; significa sottrarli al precariato, retribuirli con salari equi e ragionevoli; significa operare perché non siano costretti a espatriare per perseguire una vita decente.

Far votare i sedicenni, inoltre, significherebbe sbilanciare gravemente l’equilibrio dell’elettorato. Ricordiamo che oggi si vota a diciott’anni, quindi i giovani hanno ampia possibilità di esprimersi. Ma sono giovani che sono già giovani uomini e giovani donne che cominciano a fare piani di vita personale, sociale e professionale, e non adolescenti che magari non hanno nemmeno completato gli studi.

Naturalmente la politica deve curare anche le generazioni più giovani, soprattutto dopo i disagi dovuti alla pandemia e all’altalenante apertura e chiusura delle scuole. Ma il modo non è certo quello di dar loro una responsabilità che francamente sembra eccessiva a quell’età.

La seconda dichiarazione di Letta, quella relativa allo ius soli, è certamente encomiabile nell’intento. Per quanto mi riguarda ritengo che sarebbe giusto e salutare per l’intera società che i giovani nati in Italia, seppur di più lontana provenienza familiare, fossero in possesso della cittadinanza. Per questo, nessuna ambiguità sul tema.

Il Partito Democratico, tuttavia, potrebbe evitare di sbandierare o enfatizzare troppo questo pur nobile proposito, perché, piaccia o meno, molti, anche fra i potenziali elettori democratici, considererebbero meno prioritario battersi per anticipare di pochissimi anni il conseguimento della cittadinanza (che può comunque avvenire per semplice e libera scelta a diciotto anni), quando sono ancora irrisolti temi gravissimi inerenti ai diritti sociali, ai diritti dei lavoratori, all’erosione dei servizi essenziali, della sanità, della scuola, alla mancanza di una politica industriale, all’insufficiente crescita economica.

Il Partito dovrebbe quindi essere meno propagandistico, più pratico, e puntare a vincere le prossime elezioni, adottando una pragmatica, seppur ovviamente sincera e trasparente, strategia elettorale; una volta al governo, farebbe approvare anche lo ius soli, se questa è l‘intenzione. Mettendo questo tema in una priorità che molti considereranno esagerata, finirà invece per non vincere le elezioni, non andare al governo con sufficiente maggioranza, e non riuscire quindi a realizzare lo scopo.

In definitiva, mi sembra la ripetizione di una strategia politica ed elettorale declamatoria e poco consistente, volta più alla proclamazione di principi, a volte meritori, come lo ius soli, a volte cervellotici, come il voto ai sedicenni, che a un concreto e realistico progetto politico, elettorale e governativo.

Perché un partito può anche non essere governista, cioè lavorare esclusivamente per conseguire pure posizioni di potere; ma se vuole realizzare le proprie idee, le elezioni le deve vincere e al governo prima o poi ci deve andare.