BAYERN-PARIS, COSI’ DIVERSI

DI ROBERTO BECCANTINI

Dall’Europa League alla Champions, dal Siviglia a chi: tra poco sapremo. Il Bayern è la tradizione che sa come vincere e perdere le finali: cinque a cinque. Il Paris Saint-Germain, in compenso, vi arriva da deb, 50 anni dopo la fusione che lo mise al mondo, e «solo» nove dopo l’invasione del Qatar.
Sono mondi lontani: il Bayern, figlio di un sistema che vieta agli sceicchi (o chi per loro) di impadronirsi dei club. Il Paris, goloso e imboccato dai cuochi dell’Uefa. Arbitrerà Orsato e questo, per l’Italietta che nella decade 2011-2020 non ha portato a casa nemmeno l’ombra di una coppa, costituisce un piccolo segno di visibilità.
Sul piano tattico, nessuna scintilla rivoluzionaria. Gli allenatori sono tedeschi, Tuchel già noto e Flick così «ignoto» da ricordare il Di Matteo del Chelsea campione nel 2012: ai rigori, e proprio contro i bavaresi. Dall’Atalanta, eliminata al pelo, al Lipsia, liquidata di slancio, il Paris è cresciuto: nell’equilibrio (difensivo, soprattutto) e nello spirito d’ingaggio. Il 4-3-3 con Neymar, Mbappé e Di Maria liberi d’attacco – non importa dove: importa e basta – ha snellito la manovra e spinto Icardi in panca.
In compenso, dall’8-2 al Barcellona al 3-0 al Lione, il Bayern è, come dire?, un po’ calato. Che non è il termine esatto, ma spero renda l’idea. Calato nel senso di distratto, Una linea difensiva così alta non la vedevo dai tempi di Zeman, e non è una battuta. Molte le palle-gol lasciate fra le macerie di casa Messi e ai violini di Garcia. Molte, troppe. Occhio: Neymar e Mbappé non hanno ancora segnato, provate a immaginarvi l’appetito.
Scritto che Alphonso Davies, 19 anni, riassume il coraggio e la competenza che sempre dovrebbero orientare l’idea di scouting, dico Bayern, senza però le certezze granitiche pre-Lione. Così, perché detesto il cinquanta e cinquanta. E voi?