DI ADOLFO MOLLICHELLI
Dalla (s)Ventura ai tiri Mancini. Tutto cambia perché nulla cambi.
Era stato già tutto scritto nella terra del Gattopardo. Dal flop dell’orso burbero a quello dell’elegantone con la sciarpa al collo. Che, almeno, era salito sul tetto agli Europei dell’anno dopo.
Ultimo mondiale: 2014. Dalla Russia senza amore al Qatar che è un tè senza deserto. Trafitti da un raggio di Trajkovski (che si chiama Alessandro) ed è subito sera. Una lancia scagliata da lontano che ha trafitto il bamboccione venuto da Parigi.
Una colpa soltanto imputo a Roberto da Jesi: non aver impedito a Jorginho di andare ancora sul dischetto contro la Svizzera. E la jella di non aver potuto disporre dell’unico crack che purtroppo ha fatto crack: Chiesa, uno dei pochi attaccanti che sappiano dribblare in verticale, lui sì che avrebbe trovato il modo di incunearsi nella falange macedone.
E invece tutti a girare in orizzontale ed a confondersi le idee. E senza neppure un tiraggiro di chi sogna la casetta in Canada. E quel Berardi che va col piatto su quel grazioso invito, quando avrebbe potuto riempire un’intera coppa di macedonia.
E quegli sterili tocchi e ritocchi senza mai un affondo deciso. Il vate di Fusignano pretendeva che i suoi rossonerazzurri toccassero palla una volta sola, meglio non toccarla proprio. E quando Robertino Baggio gli obiettò: e come faccio a dribblare l’avversario? Il vate non rispose e da quella volta cominciò a trascorrere notti insonni che portavano incubi disegnati su una lavagna.
Salvo soltanto Bastoni che con le sue infilate aveva indicato la strada giusta. Datemi uno che sappia dribblare e vi solleverò l’Italia. Sarà triste il tè senza il deserto. Un mojito al bar davanti alla tv non sarà mai la stessa cosa.