DA REDAZIONE
Angela Caponnetto da ARTICOLO VENTUNO –
Il mare di Al Arish, capoluogo del Sinai del Nord, mi ricorda quello di Lampedusa.
Perché è lo stesso mare che separa il mondo dei vivi da quello dei fantasmi. Migliaia di fantasmi, vittime a noi sconosciute di stragi che non si riesce più a fermare. Muoiono in mare le persone che emigrano attraversando il Mediterraneo, muoiono i palestinesi di Gaza che sono proprio di fronte a me, dall’altra parte del confine.
La sensazione che si ha è difficile da spiegare. Fa male perché sai di essere ad un passo dalla catastrofe, dalle macerie, dalla carestia, da un intervento di terra dell’esercito israeliano che potrebbe distruggere definitivamente ogni speranza di resistenza del popolo gazawi.
Partiti con la “Carovana per Rafah, oltre il confine”, torniamo un anno dopo al valico sud della Striscia per tornare a chiedere con forza una presa di posizione decisa e non annacquata da parte dell’Europa e di tutta la comunità internazionale contro il bagno di sangue e la deportazione forzata dei palestinesi da Gaza.
La più grande delegazione arrivata al confine con il sud di Gaza dopo il 7 ottobre del 2023.
Quasi sessanta, tra operatori di associazioni umanitarie da AOI ad Assopace Palestina, Un Ponte Per, ARCI, ACLI, parlamentari ed europarlamentari di opposizione, e giornalisti.
Un anno dopo, però, la situazione è ancora più drammatica e desolante. Se l’anno scorso i tir di aiuti umanitari passavano con il contagocce – dicono gli operatori della Red Crescent Cross – oggi non passa più niente. Il gate è in una landa desolata e desolante.
Da questa parte del confine la sensazione di disagio diventa rabbia: la distanza che ci separa da Rafah è di un paio di chilometri. In sostanza, quelli dei 4 gate di check-point.
Da qui si sentono i bombardamenti, continui, costanti. Chiamiamo alcuni cooperanti dall’altra parte. “Per voi sono una cosa nuova, noi ci conviviamo.”
Attivisti, giuristi, operatori delle associazioni della Carovana poggiano per terra vestitini per bambini, la delegazione dei politici mostra uno striscione: Stop Genocidio.
Youssuf, cooperante anche lui palestinese, non riesce a trattenere le lacrime: sua sorella e suo fratello sono dentro, a Gaza City. “Chiedono di far entrare il cibo, almeno per i propri figli, o di far uscire i bambini per salvarli dalla fame. Siamo ad un passo dalla fine, cosa aspetta ancora il resto del mondo a fermare Israele?”
Laura Boldrini del PD è pronta a discutere (non presentare) una mozione unitaria di opposizioni presentata in Parlamento perché il nostro Paese faccia pressione concreta per il cessate il fuoco e l’ingresso di aiuti umanitari, bloccati da oltre 70 giorni fuori dalla Striscia, mentre dentro si muore di bombe, di fame e di malattie.
Stefania Ascari, M5S, si accende quando dice che ha lasciato la sua bambina a casa per venire qui, davanti al confine: “Perché non è niente in confronto a quello che stanno subendo gli orfani di questo massacro.”
Marco Grimaldi di AVS: “Noi non ci vogliamo sentire complici di chi oggi tace.”
E poi c’è Luisa Morgantini, presidente di Assopace Palestina: 84 anni da combattente umanitaria, tutti i giorni sente gli amici lasciati al di là del muro. Come Mohamed, diventato pizzaiolo acrobatico in Italia, tornato poi a Gaza, dove in questo periodo di assedio ha preparato pasti per migliaia di persone e ha fatto mangiare e sorridere tanti bambini, spiegando come si fa la pizza e la pasta italiana. Ora la farina sta finendo e i pasti si sono ridotti a poco o niente.
La chiama mamma al telefono e le dice: “Che strano, mamma, sapere che sei qui a due passi da me e non possiamo abbracciarci perché il muro del confine ci separa. Ma io sono ottimista, ci rivedremo prima o poi al di là del muro.”
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Articolo di Angela Caponnetto da
18 Maggio 2025