L’improvvisazione trumpiana fa perdere agli Usa la bussola del mondo

DA REDAZIONE

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Ugo Tramballi da REMOCONTRO –

‘Dalla realpolitik di Kissinger all’improvvisazione trumpiana’, indaga l’Ispi, Studi di politica internazionale. Con l’amico Ugo Tramballi che denuncia come «la diplomazia americana rischia di perdere la bussola nel mondo».

«Alcune settimane fa il Financial Times dedicava l’articolo di copertina alle vite parallele di Henry Kissinger e a Zbigniew Brzezinski. Due giganti della diplomazia americana: repubblicano e realista il primo, democratico e idealista il secondo. Entrambi hanno definito un’epoca ma non sono stati i soli: George Shultz, James Backer o John Kerry non furono da meno».

Relazioni Transatlantiche

Nessuno di quei personaggi storici della diplomazia americana ‘alta’, avrebbe incontrato Vladimir Putin battendosi il pugno sul cuore, in segno deferente di stima; né, prima di aprire una trattativa, avrebbe concesso ai russi i territori ucraini occupati: l’arma negoziale più forte in mano agli aggrediti, quella che si fa pesare nell’ultimo miglio di un accordo.

Squadra a perdere

Non è l’esperienza ma la fedeltà al capo che ha guidato Donald Trump nelle scelte della squadra che dovrebbe guidare l’America nel mondo: i segretari di Stato e Difesa, i responsabili delle agenzie d’intelligence, il consigliere per la sicurezza nazionale (appena silurato ma nominato ambasciatore all’Onu, un’altra carica importante).

L’altro immobiliarista di New York

Tuttavia nessun profilo risponde alle caratteristiche della diplomazia di Trump, quanto Steve Witkoff, immobiliarista di New York, digiuno di politica estera: un clone del presidente. Witkoff è il negoziatore che si è battuto il pugno sul petto davanti a Putin. Ma è anche l’inviato speciale in Medio Oriente, cioè nel conflitto di Gaza; e quello che sta costruendo un accordo sul nucleare iraniano: quasi uguale a quello che c’era già e che Trump cancellò nel 2018, convinto dall’israeliano Benjamin Netanyahu. Esclusa la questione dei dazi, non c’è questione internazionale che Witkoff non sia chiamato a dirimere.

Questione Ucraina

Di queste la più calda è l’Ucraina: la più vicina a qualche risultato. O la meno lontana. È stato un errore affermare che la Crimea e le altre regioni occupate siano ormai russe. Ma è la realtà. Ciò che rende questo conflitto più risolvibile di quello fra israeliani e palestinesi, è proprio questo: dopo tre anni, il campo di battaglia dice che Putin non conquisterà Kyiv e Zelensky non libererà la Crimea. La questione non è più territoriale ma politica: dopo il cessate il fuoco, quale sicurezza l’Ucraina avrà perché prima o poi la Russia non riprenda la guerra; o in tempo di pace non alteri il quadro politico ucraino come faceva prima del 2014.

Putin e il mercante

L’accordo con gli americani sulle risorse minerarie del paese, non è sufficiente. Non ci sono garanzie di difesa militare, nessun impegno americano. È difficile immaginare cosa sia oggi la Nato e una credibile difesa europea è ancora lontana. Putin potrebbe facilmente riprendere a mestare, usando qualche oligarca ucraino a disposizione, senza toccare gli interessi economici americani.
Perché per le sue mire non esiste asset migliore dell’America di Donald Trump. Il compromesso territoriale è la soluzione realistica del conflitto ucraino. Henry Kissinger l’avrebbe approvata ma Zbigniew Brzezinski no perché comporta una questione morale: per la prima volta dal 1945 in Europa sarebbe riconosciuta la conquista territoriale di una nazione su un’altra. Verrebbe meno un pilastro dell’ordine e della sicurezza internazionali.

“Anche questa è politica, non solo etica. Cadrebbero le barriere che ancora impediscono a Xi Jinping di aggredire Taiwan, a Erdogan di conquistare il Nord della Siria, a Netanyahu di annettere Cisgiordania e Gaza, a ogni autocrate ambizioso di distorcere l’ordine internazionale.”

Trump, idolo degli autocrati

Per costoro Donald Trump è il partner perfetto. Il presidente sta smantellando le strutture che garantivano la presenza americana nel mondo e rafforzavano le ragioni di quella presenza: la promozione democratica. Voice of America, Radio Free Europe/Radio Liberty, Radio Free Asia; la National Endowment for Democracy, il National Democratic Institute e molte altre meno conosciute ai più ma importanti per difendere quel che resta della democrazia nel mondo.

L’Africa ceduta alla Cina

Marco Rubio, che da segretario di Stato pratica il contrario di quello che votava da senatore repubblicano, sta smantellando la presenza diplomatica americana in Africa: come cedere, chiavi in mano alla Cina, l’influenza su un intero continente. Usaid, l’agenzia per lo sviluppo internazionale, forse la più detestata da MAGA, aveva offerto una contro-narrativa alla propaganda dei regimi illiberali (‘spesso forzando le regole stsse della democrazia, ma’, NdR) , garantendo contemporaneamente aiuto umanitario. È dunque molto più dell’Ucraina ciò che è in gioco nei 1.356 giorni che mancano alle prossime elezioni presidenziali americane.

ALTRA SEVERITÀ ISPI, redazione

«A 100 giorni dal suo ritorno alla Casa Bianca, il tycoon sta mettendo in discussione alcuni pilastri della repubblica statunitense: dall’orientamento della politica estera e commerciale al primato del dollaro fino all’equilibrio tra i poteri», aggiunge Mario Del Pero analista e ricercatore Ispi.

Inesperienza e dilettantismo

«Vi è una logica nella politica estera della seconda amministrazione Trump? Un qualche disegno strategico, al netto degli eccessi retorici e della grammatica politica assai basica del presidente degli Stati Uniti, e di una squadra di politica estera e di sicurezza che – dal segretario della Difesa, Pete Hegseth, all’inviato speciale, Steve Witkoff, sino alla direttrice per l’Intelligence nazionale, Tulsi Gabbard – pare contraddistinguersi per inesperienza e dilettantismo?». Quattro gli obiettivi Usa di Trump denunciati dal ricercatore. L’ostilità alla Cina; il tentativo ‘aggressivo e radicale’ di riduzione della burocrazia federale affidato ad Elon Musk; difendere specifici interessi economici americani; «quarto e ultimo usare anche la politica estera e di sicurezza per rafforzare l’Esecutivo nel contesto di un’alterazione dei rapporti tra i poteri».

Strumenti di tutte le forzature

Anche qui quattro categorie principali. Pressioni sugli alleati affinché si facciano carico di maggiori responsabilità, permettendo un disimpegno statunitense. Pressioni economiche, specialmente quelle rappresentate dai dazi approssimazione e incoerenza, «l’essenza della visione sovranista di Trump». I dazi,  assieme a tanti decreti presidenziali, sono inoltre anch’essi funzionali a rafforzare l’Esecutivo, con una forte alterazione degli equilibri costituzionali e uno slittamento autoritario della repubblica statunitense. «Quarto e ultimo strumento: la retorica scopertamente imperiale del presidente». Che integra quella della grossolana realpolitik del primo Trump. E che rappresenta forse l’elemento più sorprendente e inatteso di questa sua seconda presidenza.

Politica neo-imperiale

Espansione territoriale minacciando la conquista anche armata della Groenlandia, al controllo del canale di Panama e addirittura all’annessione del Canada. Al di là degli eccessi e delle boutade, questa grammatica neo-imperiale che si ritrovano nelle richieste neocoloniali, all’Ucraina per lo sfruttamento delle sue risorse naturali o «nella mano libera concessa a Israele (sorta di proxy imperiale in Medio Oriente) su Gaza o rispetto alla Cisgiordania».

Cortocircuiti

“Le conseguenze immediate e potenziali: turbolenze dei mercati finanziari all’annuncio dei dazi e, nelle difficoltà di collocare nuovo debito statunitense. Aspetti economici più volte affrontati da Remocontro. Politicamente peggio, «L’aggressiva retorica neo-imperiale ha generato reazioni ostili anche di Paesi storicamente amici: pensiamo al caso del Canada. Le concessioni fatte alla Russia non ne hanno finora in alcun modo moderato atteggiamenti e pretese. La torsione autoritaria e i contestuali, drastici tagli ad agenzie federali responsabili per gli aiuti umanitari o gli scambi culturali stanno infine erodendo rapidamente il capitale di soft power di cui gli USA hanno a lungo goduto».”

Con i temi di politica estera – dai dazi all’immigrazione all’Ucraina – alimentano e acuiscono fratture pericolose e profonde in un’America sempre più lacerata e divisa.

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Articolo di Ugo Tramballi dalla redazione di

8 Maggio 2025