DI CLAUDIA SABA
Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, dopo quarant’anni dalla morte della sorella e grazie a una commissione parlamentare nominata di recente, riesce finalmente ad accedere in Vaticano.
Durante l’incontro con il promotore di giustizia Alessandro Diddi, Pietro consegna alcuni documenti e tracce di una registrazione audio in cui si parla di papa Wojtyla.
E qui scatta l’immediata e rabbiosa replica contro di lui
da parte di un rappresentante del Vaticano, oltre il fango di certa stampa.
E la risposta di Pietro non tarda ad arrivare.
“Diddi ha accolto la mia richiesta , insieme alle altre , promettendo che avrebbe scavato a fondo ogni questione , compresa questa.
Io, tantomeno l’avvocato Sgro’, abbiamo mai accusato Wojtyla di alcunché come qualcuno vorrebbe far credere. L’unico nostro intento e’ quello di dare giustizia a mia sorella Emanuela e arrivare alla Verità qualunque essa sia”.
Pietro Orlandi ha solo consegnato il materiale raccolto, insieme alle dichiarazioni di una terza persona, chiedendo al Vaticano di controllare la veridicità di quelle dichiarazioni.
E mi chiedo.
Perché tanto clamore e livore per qualcosa che non ha mai detto?
Perché gettare tanto fango su di lui?
Un uomo che da 40 anni cerca la verità sulla scomparsa della sorella Emanuela e a cui nessuno fino ad oggi, ha saputo dare risposte.
Sembrerebbe quasi che il Vaticano, terrorizzato di scoperchiare il vaso di Pandora rimasto chiuso per 40 anni, stia cercando una scusa per impedire la ricerca della verità.
Nella storia le menzogne e le crudeltà della Chiesa perpetuate nei secoli, non depongono certo a suo favore.
Per questo la verità su Emanuela è necessaria.
Qualunque essa sia.
La verità è che Pietro Orlandi non ha mai denigrato ne’ offeso Papa Wojtyla.
Il resto sono solo scuse.