Gli angeli del fango

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Gli angeli del fango

È il 4 novembre 1966. Firenze.
L’Arno non regge più: gonfio, torbido, si alza, scavalca gli argini, si rovescia sulla città come un nemico. Travolge tutto: vite, case, officine, opere d’arte. In alcune strade supera i cinque metri. Trentacinque morti. Firenze si risveglia nel silenzio sporco del fango.
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Dall’Italia intera e da mezzo mondo partono giovani, studenti, ragazzi che non sanno nemmeno dove dormiranno. Arrivano in treno, in autostop, a piedi. Portano pale, corde, tute improvvisate. Entrano nel fango, scavano, sollevano, passano di mano in mano libri, quadri. Tirano fuori la città come si salva un corpo.

Li chiamano gli angeli del fango

Sono la meglio gioventù. Scrive Giovanni Grazzini sul Corriere della Sera: «D’ora innanzi non sarà più permesso a nessuno fare sarcasmi sui giovani beats. Perché questa stessa gioventù oggi ha dato un esempio meraviglioso, spinta dalla gioia di mostrarsi utile, di prestare la propria forza e il proprio entusiasmo per la salvezza di un bene comune. Onore ai beats, onore agli angeli del fango».
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Nelle strade devastate di Firenze nasce un senso nuovo di appartenenza. La solidarietà diventa azione, la fatica diventa politica. Nessuno parla di ideologia, ma tutti sanno che qualcosa sta cambiando: che da quel fango, da quella resistenza fisica e morale, può germogliare un’altra idea di Paese.
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Due anni dopo, molti di quei ragazzi saranno nelle università, nelle piazze, nei cortei. Porteranno con sé la stessa voglia di non restare a guardare.
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Oggi, in un tempo frammentato e diffidente, quel bisogno ritorna: ritrovare legami, sentirsi parte, non voltarsi dall’altra parte. Perché ogni epoca, prima o poi, ha il suo fango da attraversare insieme.
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Alfredo Facchini