DI ALFREDO FACCHINI

Destropitechi d’Italia

Il rancore come inno nazionale
Stamattina, scrollando, mi è scivolato sullo schermo un editoriale di Vittorio Feltri su Il Tempo. Ho pensato: che faccio? Vabbè, leggiamolo. Un atto autolesionista, lo ammetto. Ma ogni tanto bisogna leggere i nemici: serve a ricordare che il becerume non è un’opinione, è un programma politico.
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Premessa. Feltri non è il vecchio brontolone caricaturale che Crozza mette in scena. È il patriarca della destra mediatica. Il capostipite di una genealogia di servi in giacca e microfono: Sechi, Capezzone, Sallusti e compagnia urlante. Una corte di rumoristi di regime che ha trasformato la volgarità in stile e la menzogna in mestiere.
Titolo: “Altro che Gaza. La sinistra senza consenso svende quella piazza”
Ogni periodo è un rantolo di disprezzo: “la pace in Medio Oriente è un pretesto”, “a sfilare è solo la cretineria nefasta”. L’idea di Feltri del mondo è quella di chi crede che la protesta sia un reato e che il dissenso vada curato con un TSO collettivo. Nel suo racconto, l’Italia è infestata da “rivoltosi”, “ignoranti”, “parassiti sociali” che bloccano i tram e non rispettano “un presidente capace e preparato”. E naturalmente il presidente capace è Meloni.
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Feltri la descrive – neanche Bocchino ci riuscirebbe – come una Maria Goretti che resiste ai colpi degli hippy comunisti.
La parte più grottesca arriva quando, tra una tirata e l’altra, dispensa una psico-lezione di geopolitica: chi protesta per Gaza è un “occidentale annoiato”. Riduce la tragedia di Gaza a un tic di classe, un capriccio modaiolo. Poi si autoconvince che “dal fiume al mare” sia la prova di una cospirazione globale dei fannulloni woke contro il santo spirito di Tel Aviv.
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Il passaggio finale è una carezza all’ordine costituito: la violenza, dice, è tutta a sinistra. E il Sessantotto è l’origine di ogni male. Lo diceva prima di lui, Montanelli. “Dall’utopia alla violenza il passo è breve, lo abbiamo già visto.” Sottinteso: Meloni salva il mondo, i giovani lo bruciano, e la polizia fa il suo dovere quando spacca le teste.
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In poche righe, Feltri costruisce la perfetta parodia del conservatore terminale: la guerra è pace, la repressione è ordine, la solidarietà è stupidità. E pensare che Meloni e Salvini lo volevano al Quirinale.
Sarebbe stato un bel colpo di teatro: il sarcasmo reazionario come dottrina di Stato, il rancore come inno nazionale.
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C’è poco da sorridere. Perché questi, capitanati dalla ducetta, la pensano davvero così. E dietro ogni Feltri da salotto c’è un elettorato di destropitechi convinti che la violenza di Stato sia igiene, che la povertà sia colpa, che l’empatia sia un difetto.
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Un Paese che non ha bisogno di Feltri per essere reazionario, ma a Feltri piace pensare di averlo inventato.
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Alfredo Facchini