DI ENNIO REMONDINO

Da REMOCONTRO –
Dopo la fondazione, nel 2019, della US Space Force, il presidente Trump vuole uno scudo antimissile impenetrabile ed esteso su tutto il territorio statunitense. E noto amante delle esagerazioni lo propone come «Golden Dome», ‘Cupola d’oro’, ad evocare l’Iron Dome israeliano che assicura a Israele una copertura abbastanza estesa del territorio

Dallo “Scudo spaziale” alla “Cupola d’oro” per l’industria armiera
Trump afferma di voler arrivare a un primo test operativo entro la fine del 2028’, giusto in tempo per la campagna presidenziale. «Solo allora la certezza sul solito bluff o uno dei classici passi più lunghi della gamba», avverte Mirko Molteni nello scriverne. Arrivando, alla conclusione di una lunga cronaca che noi anticipiamo: il Pentagono che prende le distanze eliminando l’ufficio che avrebbe dovuto supervisionare i test del Golden Dome e ribadendo un severo controllo di spesa. La freddezza di molti esperti parte da lontano: l’illusione dello scudo spaziale di Reagan, mai realizzato e rimasto in sostanza un atto puramente politico, e il dubbio che, nonostante l’attuale maturità anche il Golden Dome segua lo stesso destino e serva in sostanza solo da spaventapasseri per le potenze rivali.
Trump erede di Reagan?
«L’attuale presidente USA vuole presentarsi come colui che realizzerà ciò che sotto Reagan era rimasta un’idea limitata a studi sulla carta e a esperimenti nei laboratori». Allora un bluff strategico per convincere l’Unione Sovietica di aver perduto la sua deterrenza atomica. Oggi? Le analogie con l’lron Dome israeliano sono pura propaganda. Ombrello relativo e sopra il bersaglio. Il progetto americano è costituito dall’idea di avere in orbita veri e propri satelliti intercettori, idealmente armati con piccoli missili ipersonici, che possano ingaggiare e distruggere i vettori nemici fin dalla fase ascensionale della loro traiettoria, la ‘boost phase’ come dicono gli anglosassoni. I dettagli tecnici su Analisi Difesa sono molti e per specialisti. Noi ci fermiamo ai conti.
Tra il dire e il fare
Il 20 maggio Trump ha affidato la supervisione del programma al generale Michael Guetlein, vicecapo delle operazioni spaziali della US Space Force ed è stato preventivato un costo di 175 miliardi di dollari, con test e operatività da raggiungersi nel 2028-29, entro la fine dell’attuale mandato. Obbiettivi di spesa e tempistica troppo ottimistici. Il Budget Office che analizza le spese previste dal bilancio federale, ha stimato la spesa per il Golden Dome spalmata sui primi vent’anni di operatività variabile fra 542 e 831 miliardi per la rete degli intercettori nello spazio sul cui numero nulla si sa e filtrano solo stime comprese tra 1000 e 2000 navicelle spaziali. Con grande felicità di Elon Musk e la sua ‘SpaceX’. Teoricamente festanti circa 3.000 aziende del settore aeronautico e spaziale, fra grandi nomi e medi subfornitori, per mobilitarle secondo lo slogan «Go fast, think big!», veloci e pensando in grande, richiamando il progetto Manhattan, la mobilitazione scientifica e industriale che dal 1942 al 1945 portò alla bomba atomica.
I missili anti missile dove?
Se ai missili anti missile spaziale scappa qualcosa, a terra l’armamentario collaudato in Ucraina. I collaudati Patriot e THAAD, i Ground Base Interceptor di Raytheon e Boeing, schierati nelle basi di Fort Greely, in Alaska, e Vandenberg, in California. E dopo il 2028 arriveranno i loro sostituti, i nuovi missili NGI, o Next Generation Interceptor, sviluppati da Lockheed con un appalto da 17 miliardi assegnato nel 2024. Al Golden Dome sono inoltre collegati gli appetiti di Washington per la Groenlandia, poiché è nella base americana di Pituffik (ex-Thule) che Trump vuole nuovi radar spaziali per coprire il versante artico e anche il Canada, seguito delle barriere radar congiunte nell’Artico il NORAD, comando della difesa dei cieli nordamericani. Ovviamente Cina a Russia non stanno a guardare. Proprio due giorni fa la notizia da Mosca: «Testato con successo nuovo missile balistico intercontinentale Burevestnik a propulsione nucleare, con una gittata operativa illimitata: ‘Ha coperto la distanza di 14mila chilometri in 15 ore’. ‘Non ha eguali al mondo’, ha commentato il presidente russo».
Trattato New Start
Nelle scorse settimane si sono intensificati i moniti da parte di Russia e Cina, che criticando la corsa in avanti unilaterale degli Stati Uniti verso sistemi antimissile di massa, minacciano contromisure. In gioco l’osservanza dei limiti del New START, ovvero 1550 testate e 800 vettori per parte. Anche i cinesi hanno iniziato a evocare la propria reazione, tanto da parlare già di una sorta di “prototipo” di un loro possibile apparato difensivo simile al Golden Dome americano. Il South China Morning Post ha riportato che ricercatori cinesi avrebbe collaudato un sistema di gestione dei ‘big data’ dal rilevamento radar di centinaia di ‘oggetti ostili’ osservati nello spazio circumterrestre. L’equivalente di un attacco con testate nucleari sparate da un avversario della stazza degli Stati Uniti. La notizia è stata ripresa il 3 ottobre da Newsweek, che ha persino titolato, un po’ provocatoriamente: «La Cina potrebbe aver battuto gli Stati Uniti nella difesa Golden Dome».
“Ciò era probabilmente anche dovuto alla polemica politica che pure negli Stati Uniti imperversa sulla fattibilità e soprattutto sui costi del progetto. Il 1° ottobre si è tenuta una sessione a porte chiuse della Commissione Forze Armate del Senato americano (United States Senate Armed Services Committee) in cui sono emerse divisioni e perplessità, soprattutto da parte dei senatori democratici.”
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Ennio Remondino, dalla redazione di

28 Ottobre 2025