Palestina, un altro Vietnam

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Palestina, un altro Vietnam

Tra le mani mi è capitata una pagina di Lotta Continua del 197, 55 anni fa. Leggetela, ne vale la pena. Non per nostalgia, ma per capire. Perché in quelle righe c’è già tutto: la lucidità con cui una generazione seppe riconoscere nella Palestina il punto di frattura del mondo, il laboratorio della nuova guerra coloniale, il simbolo della rivolta dei popoli contro l’impero.
Là dove l’Europa voltava la testa, i militanti di allora vedevano con chiarezza che la questione palestinese non era un problema “regionale”, ma il cuore stesso del conflitto tra oppressori e oppressi.
E chiamavano quella guerra “un altro Vietnam” non per retorica, ma per esperienza diretta: perché avevano imparato che la libertà non si chiede, si conquista.
Oggi, quelle parole del 1970 tornano come un monito. Ci ricordano che la Resistenza non è un atto di disperazione, ma di dignità. Che lottare significa rifiutare di scomparire. E che il dovere della memoria non sta nel rimpianto, ma nella continuità della lotta. Perché allora come oggi, in Palestina come altrove, la verità più semplice rimane questa: chi resiste, esiste.
Quelle parole, stampate in un’Italia ancora attraversata da lotte operaie e sogni rivoluzionari, suonano oggi come appena scritte. Potevamo scriverlo oggi. Anzi: avremmo dovuto scriverlo oggi. Perché nulla è cambiato, se non la potenza dei mezzi di distruzione

Lotta Continua 1970

PALESTINA: UN ALTRO VIETNAM
La guerra di liberazione del popolo palestinese contro il sionismo e l’imperialismo rappresenta oggi uno dei fronti più avanzati della lotta antimperialista mondiale. È una guerra lunga, difficile, piena di sacrifici, ma che ha già infranto il mito dell’invincibilità israeliana e svelato la complicità delle potenze occidentali.
Come il Vietnam, anche la Palestina è divenuta simbolo della resistenza di un popolo povero contro la potenza militare più sofisticata del mondo.
CHI SONO I PALESTINESI
Sono un popolo di contadini, di operai, di rifugiati. Cacciati dalla propria terra nel 1948, quando lo Stato di Israele fu imposto dal colonialismo occidentale sotto la copertura delle Nazioni Unite, i palestinesi hanno conosciuto l’esilio, i campi profughi, la miseria. Più di un milione di uomini, donne e bambini vivono ancora oggi nei campi del Libano, della Siria e della Giordania, confinati dietro reticolati e filo spinato, sorvegliati dall’ONU, senza diritti né cittadinanza.
Ma da quella tragedia è nata una nuova coscienza. Nel 1965, con la nascita di Al-Fatah, il popolo palestinese ha ripreso in mano il proprio destino.
Da allora la lotta armata si è estesa e organizzata, fino alla formazione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), diretta espressione di un popolo che non vuole più elemosine ma la libertà.
Accanto a Fatah si sono sviluppati i movimenti più radicali come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e il Fronte Democratico, che collegano la causa palestinese al movimento rivoluzionario mondiale.
UN POPOLO IN ARMI
Ogni combattente palestinese non difende soltanto un territorio, ma un principio: la possibilità di liberarsi da ogni dominio coloniale. I fedayn combattono con mezzi poveri contro una macchina bellica gigantesca, sostenuta dagli Stati Uniti e rifornita costantemente di armi sofisticate. Ma la forza della rivoluzione non sta nei carri armati né negli aerei: sta nella coscienza, nella giustizia della causa, nella solidarietà dei popoli.
Dalla Giordania al Libano, dalla Striscia di Gaza alle frontiere siriane, le basi della resistenza sono centri politici e sociali. Ogni scuola, ogni ospedale, ogni campo profughi è parte integrante del movimento. La lotta armata non è separata dal popolo: è la forma organizzata della sua vita quotidiana.
DAL MESSAGGIO ALLA TRICONTINENTALE DI ERNESTO “CHE” GUEVARA
«Creare due, tre, molti Vietnam»: così scriveva Ernesto Che Guevara nel suo messaggio alla Tricontinentale.
La Palestina è oggi uno di quei Vietnam che l’imperialismo è costretto ad affrontare. Come in Indocina, anche qui l’aggressore non combatte solo contro un esercito, ma contro un popolo deciso a morire piuttosto che sottomettersi.
Per questo la rivoluzione palestinese è un fatto internazionale. Essa coinvolge i popoli arabi, ma parla anche a noi, alle masse d’Europa e d’America, a tutti coloro che non accettano più di vivere in un mondo dominato dalla violenza dei ricchi. Sostenere la resistenza palestinese significa combattere l’imperialismo ovunque esso agisca, anche dentro le nostre città, anche nelle nostre fabbriche.
AIUTIAMO CONCRETAMENTE IL POPOLO PALESTINESE
La solidarietà non può essere soltanto emotiva o simbolica. Significa informare, organizzare, raccogliere fondi, denunciare la propaganda sionista e i crimini israeliani.
Significa impedire che il silenzio cancelli la voce di chi lotta.
Fatah, il FPLP, il Fronte Democratico e l’OLP intera non sono “organizzazioni terroristiche”, ma avanguardie di un popolo che combatte per la propria libertà e per un mondo senza oppressi né oppressori. Chi oggi sta con la Palestina, sta dalla parte dei popoli, come ieri si stava col Vietnam.
La loro lotta è la nostra lotta.
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Alfredo Facchini