Spegnete tutto. Ora guardate

DI MARIO IMBIMBO

 

Spegnete tutto. Ora guardate

Questa lettera, indirizzata alle coscienze di tutti noi, è di Elena, una studentessa liceale di soli 17 anni di Milano. Io che potrei esser un suo insegnate non avrei saputo scrivere di meglio.
“Spegnete tutto. Ora guardate”
Spegnete per un attimo la voce del professore che detta le date della Seconda Guerra Mondiale.
Spegnete il brusio delle lamentele dei voti bassi.
Spegnete le notifiche che vibrano senza pietà.
Spegnete le ironie da corridoio, i discorsi sulle regole non rispettate, sulle occupazioni “improprie”, sui giorni “persi” di scuola.
Spegnete tutto.
E fate una cosa sola.
Guardate.
Guardate quella bambina palestinese che non ha più la scuola, né il banco, né la penna con cui sognava di diventare scrittrice.
Non ha più sua madre.
Guardate quel padre che scava a mani nude tra le macerie.
Non cerca un oggetto.
Cerca il figlio.
Figlio che non potrà mai più abbracciare.
Guardate l’infermiera che da tre giorni non dorme e ha le mani coperte di sangue.
Non ha più medicine, né acqua, né elettricità.
Ma continua, come può, a tenere in vita chi ancora respira.
Guardate Gaza.
No, non leggete solo.
Non limitatevi a scorrere.
Guardate.
Guardate gli occhi sbarrati dei bambini sopravvissuti: non sono più occhi, ma ferite sbarrate sul mondo.
Guardate i corpi ammassati, i sepolti vivi, i video censurati.
Guardate il fumo nero che si alza da scuole, da ospedali, da case.
Guardate le vite diventare numeri, le notizie chiamarle “danni collaterali”.
Guardate gli innocenti uccisi due volte: la prima dalle bombe, la seconda dal silenzio.
E adesso ditemi: davvero il problema è stata l’occupazione di questa scuola?
Davvero la vostra indignazione si accende per delle scale bloccate e non per le aule bombardate? Davvero vi scandalizzano due giorni senza lezione più di mesi e mesi senza tregua, senza acqua, senza pace, senza infanzia né futuro?
Ci hanno accusati di aver “creato tensione”.
Ma quale tensione può mai essere paragonabile all’urlo di una madre alla quale viene strappato il figlio?
Ci accusano di non essere stati democratici.
Ma quale democrazia possiamo ancora onorare, se nel mondo ci sono governi che possono spegnere intere città, e nessuno li ferma?
Ci hanno parlato di “conflitto”. Di “complessità”. Che bisogna “ascoltare entrambe le parti”.
E allora io vi chiedo:
Quale parte giustifica la fame come arma?
Quale parte giustifica i bombardamenti su ospedali?
Quale parte giustifica i cadaveri di bambini messi nei sacchi della spesa?
Davvero credete ancora che la verità sia sempre “nel mezzo”?
C’è un punto oltre il quale l’equidistanza non è più equilibrio, ma solo viltà e codardia.
E quel punto lo abbiamo superato da tempo.
Adesso parlano di pace, chiedendoci di tornare alla “normalità”.
Ma se la normalità significa dimenticare, girarsi dall’altra parte, fare finta di niente…
Allora no, grazie.
Noi non vogliamo tornare normali.
Vogliamo restare umani.
E se restare umani significa essere radicali, allora lo saremo.
Se significa essere scomodi, allora ci staremo comodi nella scomodità.
Abbiamo scelto di stare dalla parte della vita, della giustizia, della verità.
E continueremo a farlo, anche quando saremo stanchi, anche quando ci diranno che è inutile, anche quando ci ignoreranno.
Perché la verità è che, mentre qui ci domandiamo se fosse “opportuno” parlarne,
a Gaza morivano bambini. Ogni giorno.
E noi non vogliamo e non possiamo restare in silenzio.
Perciò guardate.
E pensate.
Elena Matteucci
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Da Mario Imbimbo