DI ALFREDO FACCHINI

Sotto la tregua un’altra guerra

La Resistenza amministra la scarsità e regola i conti con i clan.
Oggi, a Gaza, sotto la superficie della “pace” – che pace non è, ma solo una tregua – si combatte un altro conflitto.
La battaglia per il controllo della vita materiale
In un’economia dell’assedio e della carestia, dove la popolazione è forza-lavoro sospesa, dove le infrastrutture sono pallidi ricordi, la guerra ora si gioca sulla gestione dei flussi vitali.
Sull’organizzazione della sopravvivenza.
Hamas e la Resistenza
In questa fase, sono deputati e titolati a ricostruire un primo embrione di nuovo ordine. Sulle macerie del vecchio. Hamas non comanda. Organizza. Amministra la scarsità. Ridisegna le mappe fisiche d’influenza.
A Gaza City come a Rafah, vanno regolati i conti con clan e famiglie che hanno trasformato la sopravvivenza in merce di contrabbando. In un’economia senza produzione, la miseria è moneta. Doghmush, Tarabin, Sawarka: nomi di famiglie che hanno collaborato con l’IDF, prosperando con la fame e la sete.
Netanyahu lo ha ammesso a giugno
Il suo governo ha fornito armi a famiglie rivali di Hamas. “Salva vite israeliane”, ha detto in video. Israele ha puntato su clan con vecchi conti aperti con Hamas. Li ha equipaggiati, protetti, usati. Ma la mossa ha riacceso rivalità sepolte e aperto una nuova linea di fuoco: palestinesi contro palestinesi. Arresti. Scontri. Esecuzioni. Il clan Doghmush, noto per il contrabbando e la propria milizia armata, si è scontrato con Hamas il 12 ottobre a Sabra e Tel al-Hawa. Ventisette morti. Il 14 ottobre, poche ore dopo l’annuncio di un cessate il fuoco, Hamas ha giustiziato sette collaborazionisti.
Fucilati in pubblico a Sabra
Bendati. Inginocchiati. Davanti alla folla. Nessun processo. I miliziani hanno filmato tutto. Con gli astanti che applaudono. Nella guerra senza tribunali, la piazza sostituisce l’aula.
Una lezione, non solo una punizione. Il messaggio è chiaro: la Resistenza comanda ancora. A Gaza, il tradimento è un marchio. Una condanna. È un processo violento. Contraddittorio. Ma inevitabile. Come in ogni dopoguerra rivoluzionario.
“Nell’Italia settentrionale, i partigiani diedero la caccia agli informatori fascisti dopo la caduta di Mussolini. I corpi venivano appesi ai lampioni con cartelli con la scritta traditore, lasciati ondeggiare al vento come avvertimenti.” Tutte le storie resistenziali sono lastricate di esecuzioni sommarie di nemici e complici. Chi si indigna, o è un sepolcro imbiancato, o uno a digiuno di storia. L’ideale, certo, per qualsiasi Resistenza sotto assedio sarebbe quello di proteggere la lotta senza svuotarne il nucleo morale. Ma a Gaza quell’ideale è ormai un lusso. L’assedio ha corroso ogni confine etico, trasformando la sopravvivenza in dottrina. Chi comanda deve mostrare forza, non coerenza.
Israele ha scommesso sul caos
Hamas ha risposto con il controllo assoluto. Nel mezzo, la popolazione civile: stremata, affamata, senza più voce.
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Alfredo Facchini