Definire “giornalista terrorista” Anas al-Sharif un’infamia: un attacco indegno alla verità e alla libertà di informazione

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ANTONELLA NAPOLI da ARTICOLO VENTUNO –

Definire “giornalista terrorista” Anas al-Sharif un’infamia: un attacco indegno alla verità e alla libertà di informazione

Nelle ultime ore si è scatenata una campagna denigratoria contro il giornalista palestinese Anas al-Sharif, ucciso nella notte a Gaza insieme ad altri cinque colleghi di Al Jazeera, Mohammed Qreiqeh, Ibrahim Zaher, Moamen Aliwa, Mohammed Noufal e Mohamed al-Khalidi.
Su alcuni media italiani è stato definito “giornalista-terrorista”.
Questo tentativo di delegittimazione rappresenta un segno evidente del degrado etico e professionale del giornalismo italiano, che invece dovrebbe portare avanti i valori di imparzialità, rispetto per l’etica e tutela della verità. Definire Anas al-Sharif  “terrorista” non è solo un’affermazione infamante, è del tutto priva di fondamento, visto che Israele non ha fornito alcuna prova delle accuse mosse nei suoi confronti.
Muhammed Shehada, analista dell’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor, ha dichiarato ad Al Jazeera che non esistono prove che Anas abbia partecipato ad alcuna azione ostile, sottolineando che “la sua intera routine quotidiana era stare di fronte a una telecamera dalla mattina alla sera”.
D’altra parte il network qatariota aveva già denunciato una “campagna di istigazione” da parte dell’esercito israeliano contro i suoi reporter a Gaza, con al-Sharif spesso al centro di queste accuse.

Dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2023, Israele ha spesso accusato i giornalisti palestinesi di essere affiliati ad Hamas. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) aveva già espresso grave preoccupazione per la sicurezza di al-Sharif il mese scorso, definendolo “bersaglio di una campagna diffamatoria dell’esercito israeliano”.

Le affermazioni infondate sul giornalista di Al Jazeera sono state condannate anche dalla relatrice Onu sulla libertà di espressione, Irene Khan, che nelle scorse settimane aveva denunciato il tentativo di intimidazione a danno del collega che, nonostante le enormi difficoltà e i rischi per la sua incolumità, ha continuato a svolgere il suo lavoro con coraggio e determinazione. Il 31 luglio scorso l’esponente delle Nazioni Unite ha espresso forte preoccupazione per la sicurezza di Al-Sharif. “Gli attacchi e le accuse infondate contro il giornalista Anas Al-Sharif sono un palese tentativo di mettere in pericolo la sua vita e di mettere a tacere i suoi rapporti sul genocidio a Gaza. Sono allarmata dalle ripetute minacce e accuse dell’esercito israeliano contro Al-Sharif, l’ultimo giornalista sopravvissuto di Al Jazeera nel nord di Gaza” ha dichiarato la Khan.

Parole che oggi feriscono come un pugno in faccia. Non era la prima volta che la relatrice Onu lanciava l’allarme evidenziando che “le minacce e le azioni di repressione mirate non solo contro un singolo individuo, ma contro l’intera libertà di informazione, negano la possibilità di documentare i crimini che si verificano a Gaza”. La Khan ha inoltre sottolineato che “ci sono prove crescenti che i giornalisti a Gaza sono stati presi di mira e uccisi dall’esercito israeliano sulla base di accuse infondate di terrorismo di Hamas”.

Secondo i gruppi per i diritti umani, questa strategia mira a screditare le testimonianze sugli abusi israeliani, come se ancora potessero essere celate.
Dal 7 ottobre 2023 il numero dei reporter e degli operatori dei media uccisi dall’inizio dei bombardamenti è arrivato a 269. Tra le vittime ci sono diversi giornalisti di Al Jazeera e i loro familiari.

L’atteggiamento di Israele, che nega l’accesso nella Striscia alla stampa internazionale e cerca di screditare e intimidire i media locali, rappresenta una sistematica censura, l’oscuramento delle nefandezze perpetratenel corso del massacro iniziato all’indomani del 7 ottobre 2023.

La distruzione delle strutture che ospitano la stampa, le molestie, le minacce e gli omicidi di giornalisti sono strumenti di un tentativo di silenziare le voci di chi prova a raccontare la verità.
In questo contesto, definire Anas al-Sharif “terrorista” non è solo una deplorevole ingiustizia, ma un atto di gravissima irresponsabilità morale.
Colpire un giornalista con tali etichette calpesta i principi fondamentali di libertà di stampa e di diritto a una informazione indipendente, essenziali per una società democratica.
È ora di smettere di tollerare queste ingiustizie e di riconoscere il valore di chi, come Anas al-Sharif, ha sacrificato la vita per raccontare ciò che il mondo non vuole vedere.
La verità non può essere silenziata: bisogna difenderla, con coerenza e coraggio.

“Secondo la logica di giornalisti Rai come Giovannattista Brunori, che pubblicano selfie del giornalista di Al Jazeera con Sinvar dopo un’intervista, o di Repubblica, che per ore sulla diretta delle notizie da Gaza hanno definito Anas “giornalista terrorista”, sarà dunque lecito chiamare giornalista terrorista e sparare anche contro i cronisti che danno voce a Netanyahu e ai ministri genocidari?” l’amara provocazione del portavoce di Articolo 21, Beppe Giulietti.

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Antonella Napoli dalla redazione di

11 Agosto 2025