DI ENNIO REMONDINO
Da REMOCONTRO –
Politicamente, Netanyahu sembra il vincitore della ‘Guerra dei 12 giorni’. Ma Israele non ha raggiunto nessuno dei suoi obiettivi militari e Gaza è ancora una volta impossibile da ignorare. Mentre quei 12 giorni hanno fatto comprendere la guerra agli israeliani. I missili iraniani hanno causato per la prima volta a molti israeliani una paura esistenziale e infranto il loro senso di immunità.
Il sapore amaro della guerra
L’esercito israeliano ha chiaramente dimostrato una schiacciante superiorità: ha sorvolato lo spazio aereo iraniano senza ostacoli, possedeva informazioni precise sulla posizione di alti funzionari della difesa e scienziati nucleari iraniani e ha condotto attacchi mirati con notevole precisione. Le sue capacità operative e tecnologiche erano pienamente dimostrate. Il giornalista Meron Rapoport su ‘Magazine +972’ riconosce i ‘meriti tecnici’ ma li traduce in politica. «Israele ha anche dimostrato di poter agire come un bullo di quartiere nella regione, ignorando il diritto internazionale e aggirando i negoziati in corso tra l’Iran e l’amministrazione Trump, continuando al contempo a godere del sostegno incrollabile dell’Occidente, in particolare di Washington».
Quello che l’Iran è riuscito ad ottenere
«Era dal 1948 che le principali città israeliane non avevano dovuto affrontare il tipo di minaccia sperimentata durante questa guerra: numerosi edifici ridotti in macerie; altri 25 destinati alla demolizione a causa di danni strutturali; 29 civili israeliani uccisi; quasi 10.000 persone rimaste senza casa; oltre 40.000 richieste di risarcimento presentate all’autorità fiscale; strade cittadine svuotate; e attività economiche bloccate. Il 7 ottobre è stato orribile, ma è stato ampiamente percepito dagli israeliani come una catastrofe unica. La guerra di 12 giorni con l’Iran, ha invece intaccato il loro consolidato senso di sicurezza. Milioni di persone hanno sentito che l’immunità iniziava a incrinarsi».
Israele vulnerabile
L’Iran ha dimostrato che, nonostante le difese all’avanguardia di Israele, il suo fronte interno è ancora vulnerabile. Immagini di distruzione da Tel Aviv, Bat Yam e Be’er Sheva assomigliavano a scene di Gaza e sono state ampiamente diffuse in tutta la regione. Anche se la maggior parte degli israeliani ritiene che la sofferenza ‘valga il prezzo’ di infliggere un duro colpo all’Iran -insiste il reportage-, la costante corsa ai rifugi, le notti insonni e il disorientamento quotidiano hanno lasciato un segno psicologico duraturo. «Se il conflitto dovesse riaccendersi, è improbabile che gli israeliani lo affronteranno con la stessa compostezza».
“Vittoria totale”, dove?
Netanyahu e la leadership israeliana non cercavano un confronto prolungato con l’Iran proprio per l’impossibilità di sostenere la narrazione della ‘vittoria totale’ dei primi giorni della campagna. Questo spiega perché, subito dopo l’attacco statunitense ai siti nucleari iraniani, la maggior parte dei commentatori e degli analisti israeliani abbia iniziato a parlare di «chiudere la storia». Eppure, anche in questo limitato scontro durato 12 giorni, Israele non ha raggiunto i suoi obiettivi dichiarati. Smantellare il programma nucleare iraniano, eliminare le sue capacità missilistiche e troncare il suo sostegno all’«asse del terrore». Il ministro della Difesa Israel Katz si era spinto oltre, affermando che uno degli obiettivi era assassinare l’ayatollah Ali Khamenei ed innescare un cambio di regime.
Vittoria strombazzata, vittoria mancata
Se i dettagli dell’accordo di cessate il fuoco tra Trump e Teheran rimangono poco chiari, è invece chiaro che nessuno dei tre obiettivi di Netanyahu è stato raggiunto. L’Iran non ha fretta di tornare ai colloqui sul nucleare, accusando Washington di aver impiegato la diplomazia mentre dava il via libera agli attacchi israeliani. Non sono state imposte restrizioni all’arsenale missilistico iraniano in espansione, che il Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano Eyal Zamir ha indicato come la ragione principale dell’attacco preventivo. E non c’è stata alcuna riduzione del sostegno iraniano al suo cosiddetto ’anello di fuoco – la rete regionale di avversari che circonda Israele.
Diplomazia zero
Se Israele è emerso come potenza militare superiore, dal punto di vista diplomatico sembra aver guadagnato poco, se non nulla. Questo risultato non dovrebbe sorprendere: dall’inizio della guerra a Gaza, Netanyahu ha in gran parte abbandonato gli sforzi per definire obiettivi diplomatici chiari per l’azione militare, affidandosi invece alla forza come unico strumento politico, da Gaza e dal Libano alla Siria e ora all’Iran. Fin dal primo giorno, l’Iran ha dichiarato che non avrebbe negoziato sotto pressione chiedendo un cessate il fuoco prima di qualsiasi ripresa dei colloqui sul nucleare. Ma alla fine, il cessate il fuoco è stato dichiarato senza alcuna (nota) precondizione, esattamente come l’Iran aveva richiesto. Il divario tra ‘obiettivi e risultati’ sta già seminando delusione, almeno nella destra israeliana. Il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha parlato di un «sapore amaro».
Trump “messaggero di Dio per il popolo ebraico”
Netanyahu, che ha coinvolto l’esercito statunitense in una guerra scatenata da Israele. Solo pochi giorni fa, è stato salutato come un trionfo personale per il premier israeliano, con il parlamentare Aryeh Deri che aveva definito Trump «messaggero di Dio per il popolo ebraico». Ma affidandosi agli Stati Uniti per sferrare il colpo finale a Fordow , Israele ha di fatto ceduto il controllo. In apparenza, Netanyahu sembra essere il grande vincitore di questa guerra in Israele. Persino i suoi più accaniti detrattori sui media gli hanno attribuito il merito del successo militare, per non parlare dei suoi sostenitori, che sono tornati a parlare di lui in termini quasi divini. Speculazioni su una sua possibile convocazione di elezioni anticipate per capitalizzare sulla sua ritrovata gloria.
Ma i sondaggi restano severi
Il Likud ha guadagnato terreno, ma il blocco di coalizione di destra rimane bloccato a 50 seggi alla Knesset, non sufficienti a impedire all’opposizione di formare un governo. Una possibile spiegazione è che i piloti dell’aeronautica e gli ufficiali dell’intelligence, i due gruppi forse più associati al movimento di protesta anti-Netanyahu, siano emersi come i veri eroi della guerra. Ma ora che la guerra con l’Iran è finita, Gaza è di nuovo impossibile da ignorare. E chi aveva bisogno di un promemoria non ha dovuto aspettare a lungo: il 25 giugno, sette soldati sono stati uccisi da un ordigno esplosivo improvvisato a Khan Yunis. E le speranze di Netanyahu, la pressione per porre fine alla guerra a Gaza è destinata a intensificarsi. E per dimenticare che il mostruoso piano di spingere i palestinesi nella Gaza meridionale in preparazione dell’espulsione è bloccato, ottenendo poco più che sparare ai civili affamati in attesa di cibo.
Il seminascosto mortale incidente di Khan Yunis
Anche prima del mortale incidente di Khan Yunis, c’era già un palpabile senso di stanchezza tra le truppe israeliane in servizio a Gaza, in particolare tra i riservisti. E l’«Hostage and Missing Families Forum», il principale gruppo che rappresenta le famiglie degli israeliani ancora prigionieri a Gaza preme. «Chiunque possa ottenere un cessate il fuoco con l’Iran può anche porre fine alla guerra a Gaza». Oltre ai crescenti problemi esterni. La sfuriata del portavoce del MAGA, Steve Bannon, che ha definito Netanyahu uno ‘sfacciato bugiardo’ per aver violato il cessate il fuoco mediato da Trump, è un segnale d’allarme. E i paesi europei, molti dei quali hanno sostenuto Israele durante la guerra con l’Iran per un riflesso Occidente-Oriente, potrebbero ora intensificare le loro minacce di sanzionare Israele su Gaza, e forse persino darvi seguito.
Pulizia etnica a Gaza e annessione della Cisgiordania
Per oltre 30 anni, la ‘minaccia esistenziale’ dell’Iran – e la pretesa di poterla neutralizzare da solo – è stata una delle carte politiche più potenti di Netanyahu. Ma ora l’ha giocata. E non sarà facile giocarla di nuovo. Non potrà affermare in modo credibile nel prossimo futuro che l’Iran sia sul punto di costruire una bomba senza compromettere la stessa ‘vittoria decisiva’ che ha celebrato in diretta televisiva. Questo lascia la pulizia etnica a Gaza e l’annessione della Cisgiordania come rimanenti obiettivi del programma di Netanyahu. Ma politicamente, queste sono carte molto più deboli, soprattutto se considerate singolarmente, senza l’incombente spettro di un «asse del male» iraniano.
L’Iran per cancellare Gaza
“Il motivo principale per cui Netanyahu ha scelto questo momento per lanciare una guerra contro l’Iran è stato quello di far scomparire Gaza dalla vista: per far dimenticare alla gente il suo fallimento nell’eliminare Hamas; per dimenticare gli ostaggi che sono ancora prigionieri; per dimenticare la crescente indignazione internazionale per le immagini orribili provenienti dalla Striscia; per dimenticare la crescente frustrazione interna per la guerra.”
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Articolo di Ennio Remondino dalla redazione di
2 Luglio 2025