Canguro e Costituzione: la destra e una deriva democratica senza precedenti

DI PIERO GURRIERI

 

Canguro e Costituzione: la destra e una deriva democratica senza precedenti

Riprenderà oggi, in Senato, l’esame degli emendamenti sul disegno di legge Nordio sulla separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati requirenti. Un testo già approvato, in prima lettura, dall’Aula della Camera, e che la maggioranza, stando alle dichiarazioni del ministro della Giustizia, conta di licenziare anche al Senato nei prossimi giorni, in modo da poter ottenere l’approvazione definitiva in quarta lettura, ai sensi dell’art. 138 Cost., entro l’anno in corso, per poi celebrare il referendum confermativo entro la primavera del 2026.

Tempi contingentati

Anche perché si tratterebbe poi di predisporre e approvare la legislazione ordinaria necessaria per assicurare il transito dall’attuale al nuovo sistema, sempre che questo riceva legittimazione dal corpo elettorale, prima del rinnovo per scadenza naturale di mandato del Consiglio Superiore della Magistratura. Altrimenti, fatta la riforma, dalla stessa non conseguirebbe, ragionano in via Arenula, alcun risultato, e a nulla sarebbe giovata la blindatura e la sostanziale inemendabilità del testo, uno scontro durissimo con l’opposizione e con la quasi totalità degli accademici e degli studiosi che nel corso di numerosissime audizioni hanno radicalmente bocciato il disegno di legge, e ovviamente con la magistratura associata, perfino con quella europea.

Sulla questione del merito della riforma esistono opinioni diverse, legittimamente

Il punto, però, non è di merito, ma di metodo, riguardando l’utilizzo dello strumento del “canguro” nella discussione al Senato sulla riforma costituzionale che, già adottato dalla presidenza della Prima Commissione in sede referente – tanto che il DDL è giunto il 18 giugno all’Aula senza neppure il conferimento del mandato al relatore, prima volta nella storia repubblicana nel caso di disegni di legge costituzionali – rappresenta, sul piano istituzionale, una soglia critica mai prima varcata. Si tratta, lo si ripete, della prima volta, nella storia repubblicana, che un meccanismo regolamentare pensato per snellire l’iter di approvazione di leggi ordinarie viene applicato a una revisione costituzionale.

E ciò non può essere considerato un passaggio neutro

Il “canguro” consente di votare direttamente su un emendamento ritenuto “assorbente” o “preclusivo” degli altri, determinando così l’automatica decadenza di decine o centinaia di proposte di modifica concorrenti. Si tratta di uno strumento di razionalizzazione del dibattito, impiegato soprattutto nei casi di ostruzionismo massivo su leggi ordinarie. Ma il suo impiego in sede di modifica della Costituzione appare in aperta frizione con la ratio garantistica del procedimento di revisione costituzionale previsto dall’art. 138 della Carta. Quell’articolo, infatti, non si limita a definire il quorum deliberativo o la possibilità di un referendum confermativo. Esso implica – e pretende – un dibattito parlamentare ampio, approfondito, non compresso da forzature regolamentari. È questa la dimensione sostanziale della “rigidità” della Costituzione: non solo resistenza alla modifica, ma anche qualità e profondità del confronto democratico.

L’adozione del “canguro” nel caso di specie incide su una riforma

– quella sulla separazione delle carriere – che non ha natura neutra o puramente ordinamentale. Al contrario, essa tocca il nucleo dell’equilibrio tra poteri, incidendo sull’assetto costituzionale del pubblico ministero, sull’unitarietà della magistratura, sugli assetti del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché sull’articolazione stessa della funzione giurisdizionale. Non si tratta, dunque, di una mera riforma tecnica, bensì di una scelta profondamente politica e strutturalmente divisiva, rispetto alla quale il Parlamento dovrebbe essere posto nelle condizioni di esercitare pienamente le sue prerogative deliberative. L’impressione è che l’uso del canguro non sia motivato da esigenze di funzionalità procedurale, bensì da una volontà di strozzare la discussione nel merito, evitando il confronto argomentato sugli emendamenti dell’opposizione e sul dissenso di ampia parte della cultura giuridica del Paese. Tale forzatura si inserisce in una più ampia tendenza alla compressione delle garanzie costituzionali, visibile anche nel discredito sistematico gettato sulle istituzioni giurisdizionali, nella strumentalizzazione della riforma come leva punitiva nei confronti della magistratura, e nella sistematica polarizzazione del dibattito pubblico.

La separazione delle carriere non è, di per sé, un tabù

È anzi un tema che merita, come dimostra la ricca produzione dottrinale, un esame attento, comparato, non ideologico. Ma il metodo conta quanto il merito. E tentare di riscrivere l’equilibrio dei poteri con strumenti nati per semplificare leggi ordinarie, piegando le garanzie del procedimento costituzionale a logiche di efficienza politica, rappresenta un grave vulnus allo Stato di diritto.

Nel dibattito giuridico italiano, la revisione costituzionale ha sempre imposto lentezza, cautela, pluralismo

L’episodio odierno rischia di segnare un precedente pericoloso, soprattutto se non suscitasse una reazione ferma da parte della comunità scientifica, delle istituzioni giurisdizionali, delle forze sociali e culturali che hanno a cuore l’equilibrio costituzionale.
La Costituzione può cambiare. Ma non con il silenzio, né con il bavaglio.
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Piero Gurrieri tra la gente
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