Trump e il ‘fascismo liberale’, «l’osceno carnevale del potere»

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REM da REMOCONTRO –

La figura e il portato politico del presidente Usa, analizzato dal filosofo, sociologo e politologo sloveno Slavoj Žižek, recensito sul manifesto. Nel corso degli anni, è stato professore invitato in numerose università, in particolare negli Stati Uniti. The Donald, l’osceno carnevale del potere. Trump e il ‘fascismo liberale’. Convincere i più poveri a votare per i più ricchi. I clown per un nuovo regime feudale

The Donald, l’osceno carnevale del potere

«Quando, di solito a tarda sera, Stalin confermava le lunghe liste di persone da fucilare, di tanto in tanto cancellava inspiegabilmente un nome (probabilmente senza nemmeno sapere chi fosse quella persona): l’opacità di questi atti rendeva la sua autorità assoluta». Guido Caldiron usa il paradosso di Slavoj Žižek nel riflettere sulla figura che meglio incarna attualmente proprio la capacità istrionica, contraddittoria e paradossale del potere, vale a dire il 47° presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.

Trump e il “fascismo liberale”

Žižek parte dalla sinistra immagine dell’era staliniana per sottolineare come sia proprio del potere assoluto, e di chi lo esercita, lo stabilire di volta in volta non solo il contesto e le regole del «gioco», ma il suo stesso contenuto. Non a caso, infatti, Trump non prova nemmeno a mascherare le contraddizioni o i continui cambiamenti di posizione. «Giorno dopo giorno – ricorda il filosofo sloveno – dice di getto ciò che gli passa per la mente – non (come pensano alcuni) a causa della sua confusione mentale, ma come risultato della sua pienamente consapevole assunzione del ruolo di Maestro al di là della legge e della logica, un maestro che afferma il proprio potere cambiando continuamente ciò che sostiene».

«Il discorso trumpiano»

Per il filosofo sloveno, quelle di Trump non sono contraddizioni, ma la volontà di affermare il proprio dominio assoluto per la non sindacabilità dei propri cambi di linea. Non solo il repentino cambio di idea o di posizione, ma anche «l’annullamento dell’interlocutore e il suo non riconoscimento come altro» da sé» – si pensi alla ormai nota visita del premier ucraino Zelensky alla Casa Bianca e l’umiliazione ad opera del duo Trump-Vance -, finiscono per definire un orizzonte che inizia piano piano ad emergere. La nuova destra populista globale, di cui Trump è al tempo stesso un emblema e drammatica variazione sul tema. «La nuova destra populista tratta il comunismo e il capitalismo delle multinazionali come se fossero la stessa cosa – ma la vera coincidenza degli opposti risiede altrove». Liberalismo e fascismo che funzionano assieme, come le due facce della stessa medaglia.

«Il sogno del presidente statunitense è quello di consentire al mercato di funzionare nella sua forma più distruttiva, dal più brutale perseguimento del profitto al discredito per ogni moderazione etica (di tipo antisessista e antirazzista) sui mezzi di comunicazione come forma di socialismo».

Convincere i più poveri a votare per i più ricchi

«In virtù di un progetto che vuole convincere i più poveri a votare per i più ricchi, l’elemento ‘carnevalesco’ già evocato non ha a che fare soltanto con una sorta di cosmesi delle proprie reali intenzioni, quanto piuttosto con la ridefinizione dell’intero spettro politico. Nel caso di Trump, una paradossale azione ‘anti-establishment’, con un fraseggio caratterizzato dalla denuncia del ‘politicamente corretto. E proprio gli insulti seriali di Trump, le sue menzogne plateali, il fatto che sia un criminale condannato, sembrano funzionare a suo favore, «il suo trionfo ideologico sta nel fatto che i suoi seguaci vivono la propria obbedienza (al capo, ndr) come una forma di resistenza sovversiva».

I clown per un nuovo regime feudale

L’uomo che Trump ha voluto accanto a sé a Washington, il vicepresidente J.D.Vance, autore di quella Hillbilly Elegy, ‘Elegia americana’, che dà voce «alle ansie e al risentimento dei lavoratori bianchi». Presagio di sventura per Žižek. «L’oscenità trumpiana non è destinata a durare per sempre: serve un clown (Trump, Musk) per istituire un nuovo regime feudale, e una volta che questo regime inizierà a funzionare pienamente da solo, saranno i freddi robot (Vance, Thiel) a prendere apertamente il controllo. Non avremo più un’oppressione travestita da farsa clownesca, ma l’oppressione pura e semplice».

Una riflessione italiana su Trump e la sua corte

Il modo di esprimersi del presidente statunitense analizzato da Mario Ricciardi. «Un tono sempre più minaccioso. Da ‘gangster’ più che da politico». In viaggio per partecipare al vertice della Nato, Trump ha mostrato alla stampa un messaggio privato del segretario generale Mark Rutte, che gli comunicava di avere in tasca l’accordo sull’aumento della spesa da parte degli alleati. Rutte si rivolgeva al presidente degli Stati uniti come un servo zelante si rivolgerebbe al padrone. Parlava dei paesi che dovrebbe rappresentare come ‘loro’, e usava persino i modi di dire del suo interlocutore. Qualcuno avrà pensato: un messaggio privato non va preso troppo sul serio. A smentire questa ipotesi ha provveduto lo stesso Rutte dopo il summit, quando si è rivolto a Trump chiamandolo ‘big daddy’, attribuendogli nuovamente un ruolo da superiore, da boss, che va contro il buon gusto e le convenzioni.

“Trump baby”, anni 90

“Anni Novanta. Trump è una figura controversa della vita pubblica negli Stati uniti. Julia Bangold, una giornalista del New York Magazine, riporta una conversazione tra il tycoon e l’architetto Philip Johnson, ormai quasi novantenne. Trump sta cercando di convincerlo a accettare un incarico per disegnare l’ingresso di un albergo con annessa sala da gioco a Atlantic City. La conversazione tocca le ossessioni di Trump: i soldi, le donne, la vita vista come una lotta senza regole, la lealtà verso gli amici e il modo di trattare i nemici. Johnson non sembra del tutto convinto, e un certo punto gli dice: «Saresti un buon mafioso». La risposta, fulminea, è «uno dei più grandi».”

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Articolo a firma REM dalla redazione di

30 Giugno 2025