DA REDAZIONE
Cristina Perozzi da ARTICOLO VENTUNO –
Il caso Almasri si aggrava. Per la Corte internazionale c’è stata inadempienza dell’Italia
Caso Elmasry o Almasri, Njeem si aggrava nel suo complesso sviluppo giuridico e diplomatico.
Come è noto, la Corte Penale Internazionale (CPI), tramite la Pre-Trial Chamber I, aveva invitato l’Italia, con una formale comunicazione del 17 febbraio 2025, a chiarire le ragioni della mancata consegna alla Procura internazionale del cittadino libico destinatario di un mandato d’arresto per crimini di guerra e contro l’umanità.
Il governo italiano chiedeva due proroghe temporali del termine entro il quale riscontrare, inoltrando infine la propria risposta alla Segreteria della Corte il 6 maggio 2025, dopo averla istituzionalmente adottata il 30 aprile.
L’Italia motivava dunque l’omessa consegna del libico latitante presentando le seguenti argomentazioni a giustificazione del proprio operato.
La richiesta di arresto di Almarsi presentava violazioni procedurali riscontrate dalla Corte d’Appello di Roma.
La Corte d’Appello di Roma, competente in materia di cooperazione con la CPI, aveva rilevato un vizio procedurale nell’arresto di Elmasri eseguito sulla base della Red Notice Interpol, la richiesta internazionale di arresto.
Secondo l’interpretazione della legge n. 237/2012, l’arresto in esecuzione di un mandato CPI non avrebbe potuto avvenire d’iniziativa della polizia giudiziaria, ma avrebbe richiesto l’intermediazione del Ministero della Giustizia. Da ciò sarebbe derivata la decisione di scarcerare il libico, avendo Il governo altresì rimarcato di non aver potuto interferire nel merito della decisione giurisdizionale.
Tuttavia questa versione è stata oggetto di rilevanti critiche dagli internazionalisti, in quanto l’art. 3 della legge speciale sopra menzionata rinvia alla normativa estradizionale ordinaria (art. 716 c.p.p.) che disciplina l’arresto in flagranza e non alla cooperazione in materia di giurisdizione internazionale. Inoltre, il Ministro della Giustizia avrebbe potuto trasmettere prontamente l’ordine di arresto al Procuratore Generale della Corte di Appello di Roma ai sensi dell’art. 4 legge 237/2012, il quale invece dichiara di non averlo ricevuto, essendo stato di conseguenza costretto all’istanza di scarcerazione.
Ci sarebbe stata una concorrente richiesta di estradizione da parte della Libia
A seguito della richiesta di arresto della CPI del 18 gennaio 2025 e della successiva richiesta libica di estradizione che sarebbe datata 20 gennaio, il Ministero avrebbe dovuto stabilire l’ordine di priorità ai sensi dell’art. 2.2 legge 237/2012 combinato disposto artt. 90, 93 Statuto di Roma. Le autorità libiche, secondo la versione del governo italiano a firma del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, sostenevano l’esistenza di indagini parallele e invocavano il principio di complementarità.
Tuttavia la Corte Penale Internazionale solleva fondamentali dubbi circa la genuinità e l’efficacia di tali indagini, iniziate nel 2016 ed ancora senza esiti concreti nonostante la gravità delle accuse.
L’inerzia processuale sarebbe prova secondo la CPI che la Libia sia un paese “unwilling” rispetto al deferimento processuale del proprio connazionale nonostante sia imputato di gravissimi crimini internazionali e la permanenza di Elmasry in posizioni politiche apicali nel proprio Paese rafforzerebbe tali perplessità.
La CPI sarebbe stata comunque competente a valutare l’ammissibilità del caso, e la consegna dell’indagato alla Corte non avrebbe precluso la possibilità di eccezioni ex art. 19.2 Statuto di Roma in un secondo momento da parte della Libia, che avrebbe potuto richiedere la restituzione dell’imputato per farlo processare dai propri giudici domestici.
Eccezione di incongruenze documentali
L’Italia aveva altresì segnalato discrepanze temporali tra il mandato d’arresto (del 2011) e la richiesta del Procuratore della CPI (del 2015), nonché l’omessa allegazione iniziale dell’opinione dissenziente della giudice Socorro Flores Liera, allegata solo in un secondo tempo all’istanza di consegna del libico.
Ma secondo la Corte la gravità dei crimini avrebbe dovuto indurre un’interlocuzione diretta ed efficace con la CPI, evitando il fallimento del processo.
La data del 2011 infatti si riferisce all’apertura del caso con rinvio alla giurisdizione della CPI tramite la Risoluzione ONU 1970 mentre l’opinione dissenziente contestava il nesso di causalità del caso con i successivi eventi occorsi nel paese africano post-2015, sebbene vi fossero peraltro precedenti analoghi positivamente risolti dalla Camera preliminare della CPI (Caso Al-Werfalli).
Il decreto di espulsione e gli obblighi internazionali
Il governo infine aveva motivato l’espulsione con esigenze di ordine pubblico, richiamando la pericolosità sociale di Elmasry e la discrezionalità amministrativa del Ministro dell’Interno.
Ma l’espulsione verso lo stesso paese in cui i presunti gravissimi reati sarebbero stati commessi suscita forti perplessità.
Oltre agli obblighi verso la CPI, infatti, l’Italia è vincolata dalla Convenzione ONU contro la tortura (art. 7.1 CAT), che impone l’estradizione o il perseguimento penale degli indagati, ma neppure tale obbligo risulterebbe rispettato.
La Pre-Trial Chamber I ha dunque avviato una procedura ex art. 87.7 Statuto CPI per valutare l’eventuale inadempimento dell’Italia ed il Procuratore ha chiesto il deferimento all’Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di Sicurezza, mentre di contro l’Italia nega il proprio inadempimento, invocando la necessità di bilanciare cooperazione e sicurezza nazionale.
Ad aggravare la vicenda vi è una denuncia presentata da una vittima alla CPI contro le autorità italiane per ostacolo alla giustizia ai sensi dell’art. 70 Statuto CPI e parallelamente la Procura di Roma che ha aperto un’indagine contro i responsabili del governo per peculato e favoreggiamento ex artt. 314 e 378 c.p.
Entro il 26 giugno 2025 il Procuratore dell’ICC doveva quindi contro dedurre alla Pre‑Trial Chamber I alle ragioni italiane relative alla mancata consegna di Elmasry, dopo aver ricevuto l’autorizzazione a presentare le proprie osservazioni dalla Pre Trial Chamber il 12 giugno 2025 (icc-cpi.int).
Il procuratore internazionale ha dunque reiterato alla Corte la richiesta di constatazione di inadempienza in capo all’Italia,
in ragione che sin dal 21 febbraio 2025 aveva già chiesto alla Corte di dichiararla ai sensi dell’art. 87(7) dello Statuto, a seguito del rilascio e trasferimento in Libia del sospettato (icc-cpi.int).
Ha poi evidenziato la tardiva ricezione delle comunicazioni, ossia del mandato e dei verbali da parte dell’Italia, in lingua inglese/araba, e l’assenza di un’iniziativa consultiva ai sensi dell’art. 97 Statuto tra il rilascio e il rimpatrio.
Il Procuratore ha insistentemente sottolineato che l’Italia avrebbe dovuto arrestare immediatamente Elmasry al ricevimento del mandato, come previsto dagli artt. 59, 87 e 92 dello Statuto, senza attendere, tantomeno eccepire interpretazioni politiche o emendamenti formali.
In definitiva, il Procuratore della CPI Karim Khan ha respinto le giustificazioni italiane basate sui presunti difetti procedurali interni, sulla richiesta libica di estradizione concorrente, e sulle lamentate carenze documentali, insistendo sulla necessità di una reazione immediata statutaria, non subordinata a valutazioni politiche o burocratiche e concludendo che l’Italia ha violato i propri obblighi internazionali ai sensi dell’art. 86 e 87 dello Statuto di Roma.
Nel contempo ha sottolineato che l’omessa consultazione con la Corte del governo italiano ex art. 97 Statuto, prima della scarcerazione e dell’espulsione, costituisce un’omissione rilevante e che la procedura di espulsione ha di fatto impedito il perseguimento internazionale di un individuo imputato di crimini gravissimi.
Le osservazioni sono state presentate dal Procuratore secondo le disposizioni della Corte ed ora la Pre‑Trial Chamber ne valuterà il merito, decidendo in particolare se sussiste una formale violazione da parte dell’Italia dello Statuto di Roma, con un ipotetico deferimento del caso italiano all’Assemblea degli Stati Parte o al Consiglio di Sicurezza.
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Articolo di Cristina Perozzi dalla redazione di
29 Giugno 2025