Bocciati

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Bocciati

Fascisti e incapaci. La Cassazione smonta il Decreto Sicurezza: è incostituzionale, repressivo, inutile.

Altro che “sicurezza”. Il Decreto Legge 11 aprile 2025, n. 48 – ribattezzato con arroganza Decreto Sicurezza, poi convertito nella Legge 9 giugno 2025, n. 80 – è stato smascherato per quello che è: un impianto giuridico autoritario e pasticciato.

La Corte di Cassazione, nella sua Relazione 33/2025, lo affossa senza mezzi termini. E lo fa nel nome della Costituzione.

Il provvedimento – già contestato da magistrati, accademici e avvocati – viene descritto come pericoloso, incostituzionale, e destinato a gonfiare carceri e tribunali. A pagarne il prezzo? I soliti: marginali, migranti, oppositori. Chi vive ai margini e chi dissente.

Due i fronti dell’accusa

Primo: il metodo. Il decreto è stato imposto in fretta e furia, senza alcuna reale urgenza. Insomma da incapaci. Lo conferma la stessa Cassazione: la norma ingloba un disegno di legge che era già in fase avanzata in Parlamento, approvato dalla Camera e in discussione al Senato. Nessuna emergenza, nessuna giustificazione per l’uso di uno strumento d’urgenza.
Solo la volontà politica di scavalcare il dibattito in aula e imporre l’ennesimo pacchetto repressivo con un colpo di mano.
Secondo: i contenuti. Il decreto è un’accozzaglia di norme eterogenee, mescolate alla rinfusa sotto l’etichetta di “sicurezza”: si va dal terrorismo alla mafia, dai migranti alla canapa, dai beni confiscati alle vittime dell’usura. Una lista della spesa impastata senza criterio. Un modo rozzo e propagandistico per cavalcare le paure e silenziare il dissenso, che viola il principio di omogeneità richiesto dalla Costituzione per i decreti-legge.

La verità è chiara

Questo governo – e la sua maggioranza – non sa scrivere le leggi, non conosce la Costituzione, non rispetta la legalità. Ma soprattutto, usa il diritto come manganello.
Il giudizio della Cassazione – va detto – non ha valore vincolante. È un allarme. L’ultima parola spetta alla Corte Costituzionale. Perché ciò avvenga, però, serve un ricorso formale. Le strade sono due.
Un giudice comune (penale, civile, amministrativo) può sollevare la questione di legittimità costituzionale nel corso di un processo, se ritiene che l’applicazione di una norma del decreto-legge violi la Costituzione.

Le Regioni o il Governo possono impugnare direttamente la legge entro 60 giorni dalla pubblicazione

Se una di queste condizioni si verifica, la Corte costituzionale entra in scena e – dopo un procedimento – può annullare la norma o dichiararne l’incompatibilità con la Carta.
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Alfredo Facchini