DI ALFREDO FACCHINI
Una cortina fumogena
Oh certo, perché discutere di salari bassi, sanità al collasso o dei massacri a Gaza, quando possiamo analizzare ogni sfumatura dell’ultima cacchiata detta da Carlo Calenda? In mezzo a questa cortina fumogena il governo guidato dalla ducetta sta architettando un vero e proprio Stato di Polizia. In queste settimane sta mettendo a punto un decreto legge che introduce “nuove tutele” per gli agenti delle forze dell’ordine che utilizzano la forza o sparano in servizio. La legge Reale non bastava.
Ecco i punti chiave:
Stop alla sospensione automatica e alla riconsegna dell’arma. Gli agenti non saranno più sospesi automaticamente dal servizio né obbligati a riconsegnare l’arma in seguito all’uso di armi da fuoco durante il servizio, salvo in caso di condanna penale definitiva.
Nessuna iscrizione automatica nel registro degli indagati. L’iscrizione non sarà più obbligatoria, ma lasciata alla discrezionalità del giudice. Resta però l’obbligo dell’avviso di garanzia per informare l’agente delle indagini a suo carico.
Il decreto è stato accelerato da episodi come l’uccisione di Ramy Elgaml, morto durante un inseguimento dei carabinieri a Milano nel novembre 2024.
La Meloni, ha sottolineato la necessità di proteggere gli agenti da “campagne denigratorie” e di garantire loro un adeguato sostegno legale ed economico, incluso il rimborso delle spese legali fino a 10.000 euro in fase processuale.
Il nuovo provvedimento si affianca al “pacchetto sicurezza” approvato nel 2023, che aveva introdotto misure come il porto d’arma per gli agenti anche fuori servizio e l’inasprimento delle pene per i reati contro le forze dell’ordine.
Ecco come si costruisce uno Stato di polizia
Scudi penali, immunità e creati che colpiscono il dissenso. Abbiamo già analizzato il disegno di legge sulla sicurezza attualmente in discussione in Parlamento.
Vale la pena ricordare che in Italia la Legge Reale, approvata il 22 maggio 1975, aveva già concesso alle forze dell’ordine un’ampia discrezionalità nell’uso della forza, di fatto configurando una licenza di uccidere.
La legge modificò l’articolo 53 del codice penale, ampliando enormemente il campo d’azione delle forze dell’ordine e consentendo l’uso delle armi soprattutto in contesti di tensione sociale.
Nei primi 15 anni di applicazione (1975-1989), gli interventi di polizia causarono 254 morti e 371 feriti. Il 90% delle vittime non era armato con armi da fuoco al momento degli scontri, mentre solo il 10% possedeva oggetti classificabili come armi, spesso improprie, come bottiglie molotov.
L’abuso della forza da eccezione diventa regola, impunita
Quando sul banco degli imputati finiscono i tutori dell’ordine, possiamo starne certi: non salta mai fuori nemmeno mezzo colpevole. È la regola dell’impunità. Se l’incriminato indossa una divisa dello Stato, puoi esaminare le perizie fin nei minimi dettagli, torchiare a fondo i testimoni, ma quelle che sembravano prove schiaccianti iniziano via via a vacillare, sbiadirsi, fino a ridursi a semplici indizi.
L’impunità è il primo e più solido pilastro su cui si regge uno Stato di polizia, garantendo ai suoi tutori il potere di agire senza conseguenze e alimentando un sistema in cui l’abuso della forza diventa la norma anziché l’eccezione.
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Alfredo Facchini