1969 LE MELE MARCE DELL’INFORMAZIONE

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

La strage di Piazza Fontana ha segnato inequivocabilmente una spaccatura nella storia della Repubblica. Un evento che darà il via alla strategia della tensione. Formula, coniata da una giornalista inglese, che ebbe come obiettivo, usando le parole di Aldo Moro, «di rimettere l’Italia nei binari della “normalità” dopo le vicende del ’68 e del cosiddetto autunno caldo».
La strage nella banca Nazionale dell’Agricoltura ha rappresentato però, anche, il punto di non ritorno del giornalismo italiano. Infatti, come abbiamo abbozzato nella prima parte, la stampa italiana in larghissima parte ha deliberatamente sposato, sin dal primo minuto, le versioni ufficiali delle indagini che indicavano i colpevoli nella pista anarchica.
Scorrendo quindi le pagine della stampa nazionale nei primi giorni seguiti alla strage, il “Corriere della Sera”, è sempre il primo a pubblicare notizie sulle indagini, soprattutto grazie alla penna del cronista Giorgio Zicari, collaboratore del SID.
Sarà Giulio Andreotti in un’intervista rilasciata a “Il Mondo” del giugno 1974 a confermare le accuse che si stavano muovendo nei confronti di Zicari e Giannettini come informatori del “Servizio informazioni difesa” (SID è stato il servizio segreto italiano dal 1966, sostituendo le funzioni del Servizio informazioni forze armate. Fu sciolto nel 1977 e al suo posto furono create due strutture: una civile e una militare SISDE e SISMI).
Altro snodo strategico dei servizi segreti saranno le agenzie di stampa, che inonderanno di redazionali, articoli in apparenza asettici e senza firma, i quotidiani locali.
La svolta narrativa è del 16 dicembre. Il mostro da sbattere in prima pagina ha un’identità: Pietro Valpreda.
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È davvero una pubblica gogna quella che il giornalismo italiano costruisce ai danni di un uomo le cui vicende più intime sono presentate come sintomi di un sordo rancore verso la società.
A dare agli italiani la notizia dell’arresto è la diretta Rai del telegiornale della sera, prima tramite le parole ripetute di Rodolfo Brancoli – “un anarchico appartenente al gruppo anarchico 22 marzo è stato riconosciuto da un testimone” – poi, con assoluta e perentoria certezza, dal giovane inviato Bruno Vespa che in collegamento dalla questura di Roma dichiara: «Pietro Valpreda è un colpevole, uno dei responsabili».
Il giorno successivo, il 17 dicembre, sulle prime pagine è un diluvio di titoli malvagi.
Uno degli articoli che più ferocemente traccia l’identikit di Valpreda è a firma di Vittorio Notarnicola (La furia della bestia umana, “Corriere d’Informazione”, 17 dicembre 1969)
«La bestia umana che ha fatto i quattordici morti di piazza Fontana e, forse, anche il morto, il suicida, di via Fatebenefratelli, è stata presa […]. Il massacratore si chiama Pietro Valpreda, ha trentasette anni, mai combinato niente nella vita; rottura con la famiglia; soltanto una vecchia zia, che stira camicie e spazzola cappotti, gli dà una mano; viene dal giro forsennato del be-bop, del rock, un giro dove gli uomini sono quello che sono e le ragazze pure. S’è dimenato sulle piste delle balere fuori porta e sotto le strade del centro, faceva il boy, uno di quei tipi con le sopracciglia limate e ritoccate a matita grassa che fanno ala, in pantaloni attillatissimi, alla soubrette […]. Un passo dietro l’altro, Pietro Valpreda si avvia a diventare la bestia […] Così nasce un Pietro Valpreda. Da questo entroterra arriva al massacro».
Dal momento dell’arresto, Valpreda è oggetto di una campagna di criminalizzazione senza precedenti, nonostante abbia un alibi di ferro (la prozia Rachele ha testimoniato che il pomeriggio del 12 dicembre il nipote era a casa sua con l’influenza, e per questo è stata incriminata per falsa testimonianza) e il suo avvocato difensore Guido Calvi abbia fatto mettere a verbale al PM Vittorio Occorsio come il tassista Rolandi avesse dichiarato che, prima del confronto, gli era stata mostrata dai Carabinieri di Milano una fotografia del ballerino anarchico, dicendogli che era la persona che avrebbe dovuto riconoscere – un fatto che invalidava alla radice il riconoscimento.
Di fronte a questa ondata di fango il 23 dicembre si costituisce a Milano il Comitato per la libertà di stampa e per la lotta contro la repressione, cui aderiscono circa 150 giornalisti di differenti testate impegnati a denunciare le trame reazionarie del potere esecutivo e giudiziario. Aprendo la via alla controinformazione sollecitata dalla “discussa” morte dell’anarchico Pino Pinelli e dal “provvidenziale” arresto di Pietro Valpreda.
Nonostante l’emergere di lì a breve della pista neofascista alternativa a quella anarchica per la strage, Valpreda rimane in carcere fino al 1972. Sarà assolto in via definitiva soltanto nel 1987.
Il giornalismo di Stato è il peggiore dei giornalismi.
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Alfredo Facchini