La solitudine degli attaccapanni…

DI GIANCARLO SELMI

Giancarlo Selmi

 

La solitudine degli attaccapanni. 
(Liberamente tratto dal discorso di Giuli, l’attuale ministro della cultura, alla Camera dei deputati).
E che vi devo dire, cosa ne sapete voi di un attaccapanni?
Muto, nel dolore come nella gioia, sempre disponibile a raccogliere i vostri abiti. Che conosce. E, d’altra parte, non è la conoscenza il suo tempo appreso con il pensiero? Chi si appresta a immaginare un orientamento per l’azione culturale degli attaccapanni, non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni.
Di fronte a questo cambiamento di paradigma – la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che l’attaccapanni corre è duplice e speculare. L’entusiasmo passivo dell’attaccapanni costretto ad abbracciare gli abiti, rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione, e per converso l’apocalittismo difensivo che a volte lo affligge, rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, quella degli impermeabili che non si usano più, dei cappotti di una volta, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro intese come minaccia.
Mettetevi nei panni di un attaccapanni, cercate di capirne le tragedie e gli entusiasmi. Siamo dunque precipitati nell’epoca delle passioni tristi? No. Fare l’attaccapanni o immergersi nella sua cultura, vuol dire pensare sempre da capo e riaffermare continuamente la dignità, la centralità dell’abito appeso… non l’algoritmo…
In questa prospettiva è un’illusione ottica pensare a una distinzione di categoria o, peggio, a una contrapposizione tra attaccapanni di legno e attaccapanni di plastica. Come in una disputa tra un fronte domestico progressista e uno conservatore. Dialettica errata.
Viva gli attaccapanni, dunque.
PS: e ‘sticacchi no?
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Giancarlo Selmi