RIFLESSIONI A LATERE DEL G 20: BHARAT, IL GIGANTISMO INDIANO

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Di Gabriele Germani dalla redazione di Kulturjam

 

L’India di oggi è come la Cina di 30 anni fa e probabilmente sarà il terzo competitore globale. Oggi  sta assumendo la linea di intermediario tra BRICS e G7/NATO.

Bharat, il gigantismo indiano

Di questi giorni tante letture sul G20 e il gigantismo indiano, a mio avviso tutte molto interessanti. Tentiamo di fare ordine:

1- L’India (che con un colpo di teatro il nazionalista Modi ha rinominato con il nome Bharat, sottolineando così il distacco anche semantico dal passato colonialista) sta assumendo la linea di intermediario tra BRICS “euroasiatici” (Cina-Russia) e G7/NATO.
2- Stesso ruolo tra gli emergenti.

A differenza della Cina che punta a una forte penetrazione economica in Africa, l’India (anche per una portata minore in questo campo) punta sul peso diplomatico: si fa garante dell’Unione Africana e partner di punta per l’Etiopia (con cui la lega un antico legame non detto di mondi non occidentali e confini battaglieri del mondo islamico).

Lo stesso allargamento dei BRICS le passa sopra la testa, sauditi prima e cinesi oggi hanno sponsorizzato i pakistani, i grandi rivali di un tempo (oggi la Cina non vuole grane e tutto tace).

Sul retaggio africano pesa un revival indiano in Africa orientale: piccole aziende e lavoratori che si spostano nel quadrante dal subcontinente forti della già florida comunità, lascito dell’Impero Britannico (la disparità tra indiani, dediti al commercio, e locali fu tale da attirare le ire di Idi Amin in Uganda nel 1972).

Fioccano gli accordi con UE, arabi e Israele per creare un corridoio commerciale tra Indiano e Mediterraneo (il grande Mediterraneo che ricade nella strategia italiana) che suona come una vittoria del redivivo Trump: gli Accordi di Abramo come causa di quella strategia della distensione mediorientale e l’India come nuovo cavallo anti-cinese (come la Cina fu anti-URSS nel 1973).

Biden, tanto per disseminare pace nel mondo, dopo aver aizzato le Filippine, ha stretto un accordo con il Vietnam (in funzione anti-cinese). Ancora una volta, gli USA usano una strategia affine a quella azteca: allearsi con uno dei nemici e farli scontrare tra loro.

In questo cade la questione Bharat, il nome pre-coloniale (quindi non anglofono) del paese, pochi hanno pensato che richiamarsi a questo passato mitico implica anche richiamarsi all’indosfera precedente che includeva anche Pakistan, regni himalayani, per certi versi Myanmar e Sri Lanka.

Parliamo di un paese che corre demograficamente ed economicamente e che contribuirà alla più generale immissione di lavoratori giovani nel mercato mondiale. La concorrenza per l’Occidente sarà enorme, a questa andrà affiancata la concorrenza dell’intelligenza artificiale (bye bye lavoro, benvenuto bo, succede questo quando hai delle classi dirigenti lungimiranti).

L’India di oggi è come la Cina di 30 anni fa e probabilmente sarà il terzo competitore globale.

Da un lato c’è la democrazia neoliberista (USA/UE), da un altro l’India con il suo nazionalismo democratico (con contraddizioni interne) e da un altro ancora la Cina con il socialismo di mercato (PCC e mercato). Queste sono le tre alternative globali che abbiamo (Russia e Brasile sono sfumature regionali, per ora).

Intanto l’Ucraina prende uno schiaffo e non viene invitata; gli indiani (come i cinesi ai tempi d’oro) vogliono parlare di affari, non di guerra che fa male agli affari e se devi sfamare un miliardo di trentenni ci pensi bene a come far soldi.

Con la nostra posizione geografica basterebbe un pizzico di coraggio in più per cavalcare queste rivalità e ottimizzare i guadagni… E invece abbiamo La Russa.

 

Articolo di Gabriele Germani, dalla redazione di

15 Settembre 2023