LA SCONVOLGENTE FINE DI GIULIA TRAMONTANO

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

«Non voglio combattere e vivere una vita non soddisfatta al fianco della persona sbagliata». Questo è l’epitaffio che dovrebbe leggersi sulla tomba di Giulia Tramontano, la ragazza dell’hinterland milanese uccisa dal padre del figlio che da sette mesi teneva in grembo.

Ma non è una frase creata per l’occasione, come si fa di solito con gli epitaffi. É quanto Giulia aveva scritto via whatsapp al suo carnefice poche ore prima di morire: la sua condanna a morte, con tanto di firma digitale.

Giulia è la classica ragazza che, come tante, ha fatto in tempo a capire che razza di scocomerato aveva eletto a dolce metà. Se l’è ritrovato in casa con un coltello in mano. Tu senza di me non vivi, avrà detto lui, rivolgendosi anche al nascituro di sette mesi, che forse qualcosa avrà percepito. Però… coraggiosa questa Giulia, che avrà continuato a gridare la sua libertà anche quando si è resa conto, forse pure dalla faccia, che quello non era venuto per un chiarimento.

Anche perché nella mente di lui, c’era ben poco da chiarire. Giulia aspettava un bambino, mentre lui, il padre di quel bambino, da tempo aveva iniziato a frequentare un’altra, una collega di lavoro, innamorandosene perdutamente. Insomma, non una scappatella, ma il peggiore dei tradimenti.

Ho fatto una figura di merda tale da non potermi mai più superare. Implorarti di accettare le mie scuse sarebbe un’offesa alla tua intelligenza. Pur non riconoscendomi razionalmente nello schifo che faccio, tolgo il disturbo. Addio, Giulia, rimarrò sempre a disposizione come padre. Questo avrebbe dovuto dire e fare lui.

Invece, non ha colpevolizzato se stesso per averla tradita nel peggiore dei modi. Ha colpevolizzato Giulia per essere arrivata alla conclusione che di uno così non ci si può fidare, né come compagno di vita, né come padre. E come darle torto.

Ogni femminicidio svela la sua turpitudine. Ma questo, a mio avviso, li batte tutti senza possibilità di pareggio. E non credo utile spiegarne il perché.

Un conflitto perenne quello tra uomo e donna. Ogni anno in Italia avvengono in media 120 femminicidi, e nel mondo non va meglio. Di cadaveri ne produceva in media 115 ogni anno il conflitto nord-irlandese, quello che l’Onu aveva definito «guerra a bassa intensità».

In ogni guerra interna, ci vuole una forza militare sovraordinata che si interponga tra i contendenti, in modo da far cessare le violenze e le discriminazioni perpetrate dalla fazione più forte. Ed è questa, e solo questa, l’unica arma a disposizione contro i femminicidi.

Poi, si dice che la colpa è della società, perché non insegna che il più debole, il meno armato, va comunque rispettato. Anche questo è un processo che va avviato. Ma ci vorranno secoli. Ammesso che basteranno.