E ZELENSKY SFANCULA IL PAPA

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Volodymyr Zelensky inaugura il suo tracciato di jogging internazionale proprio dall’Italia, unico Paese di spicco della UE ad offrire all’Ucraina un appoggio pieno e incondizionato, esattamente come le russofobissime Polonia e Repubbliche Baltiche.
Al Quirinale incassa gli incoraggiamenti di Mattarella, che lo rassicura per quale parte batte il cuore del popolo italiano, senza spiegare l’origine di siffatta certezza. Mentre a Palazzo Chigi la Meloni gli dice di non preoccuparsi minimamente, tanto l’Ucraina vincerà la guerra contro la Russia. Nessuno però lo avverte che le armi stanno finendo. E che i magazzini, una volta vuoti, non saranno rifocillati.
In tardo pomeriggio, l’incontro con Papa Francesco. Non è durato molto. Ma a giudicare dalle parole poi pronunciate da Zelensky sulla terrazza del Vittoriano, sotto lo sguardo benevolo di Bruno Vespa e con un gruppo di selezionati giornalisti che non ricordava nemmeno lontanamente un manipolo di fucilieri, quell’incontro non si sarebbe concluso nel migliore dei modi.
«Con tutto il rispetto per Sua Santità, noi non abbiamo bisogno di mediatori, abbiamo bisogno di una pace giusta. E invitiamo il Papa, come altri leader, a lavorare per una pace giusta, ma prima dobbiamo fare tutto il resto. Non si può fare una mediazione con Putin, nessun Paese al mondo lo può fare».
Queste le parole del presidente ucraino. Tradotte: se per mediazione il Papa intende una soluzione implicante reciproche concessioni, è meglio che se ne resti a San Pietro. Tratteremo con Putin soltanto quando la Russia sarà militarmente azzerata.
Auguri. Del resto, il motivo per cui Zelensky abbia deciso di recarsi in Vaticano, è un mistero. Cosa pensava di aspettarsi da uno come Bergoglio, primo Papa ad incontrare dopo un millennio il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie. Che ha rimproverato alla Nato di «abbaiare alle porte della Russia». Che ha ringraziato la Russia perché con il suo intervento in Siria ha protetto i cristiani dalle violenze degli integralisti islamici.
E che dopo l’annessione della Crimea e in pieno svolgimento della guerra nel Donbass, ha ricevuto in Vaticano Putin, donandogli la Madonna di Vladimir, la più venerata icona ortodossa, quella che un incallito ateo come Stalin fece mettere su un aereo che sorvolò Mosca dopo l’invasione tedesca per benedirla dall’alto; e che secondo i ferventi ortodossi portò alla cacciata dell’esercito nazista.
«Putin è un uomo saggio che parla poco», ha poi detto di lui dopo quell’incontro Papa Francesco.
Che Zelensky fosse più un mediocre attore che un politico di primo pelo, lo si era capito da un pezzo. Ma arrivare ad invitare pubblicamente il Papa a non mettere naso in un conflitto armato destinato a diventare uno dei più sanguinosi del XXI secolo, se non qualcosa di molto peggio, implica avversione per la Pace e una tracotanza che nessun capo di Stato può avere.
La mediazione è, e sempre sarà, una sorta di transazione, dove ciascuna parte cede qualcosa. Per questo rimarrà un vocabolo sconosciuto ad uno come Zelensky, ansioso di vedere la Russia catapultata in tempi ben più bui di quelli di Boris Yeltsin.
E a qualsiasi prezzo. Se questa agognata ingloriosa fine della Russia dovrà implicare, una volta scattato l’allarme nucleare, la morte di un numero impressionante di cittadini europei, è evidente che a uno come Zelensky non gliene può fregar di meno.