25 APRILE IL GIORNO DOPO. CHI HA TRADITO LA RESISTENZA

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

La Liberazione. Il 25 aprile. Ma fu vera Liberazione? Certamente si. Ma anche no. Non voglio guastare la Festa, ma non possiamo nasconderlo: il fascismo non muore con la morte di Mussolini. Non finisce con il 25 Aprile.

Bisogna tornare a quel 22 giugno del 1946. Al giorno in cui entrò in vigore la cosiddetta “amnistia di Togliatti”, che portò alla cancellazione di tutti i reati commessi fino al 18 giugno di quell’anno, tranne quelli più gravi.
Almeno 10 mila ex membri del partito fascista vengono scarcerati o esonerati dai loro processi.
L’amnistia prende il nome dal leader del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti, all’epoca ministro della Giustizia. E’ lui che la vuole più di tutti gli altri componenti del Governo De Gasperi. Tanto da scrivere il testo della legge praticamente da solo.
Tornano in circolazione personalità di spicco del regime fascista.
Gerarchi del calibro di Dino Grandi e Luigi Federzoni o repubblichini irriducibili come Renato Ricci e Junio Valerio Borghese.
Ma il “libera tutti” coinvolge soprattutto centinaia di funzionari minori del regime, capi partito, agenti della polizia segreta, torturatori e informatori.
La legge è scritta all’italiana. È zeppa di scappatoie. Prevede che vengano esclusi dal provvedimento coloro che si siano macchiati di reati particolarmente efferati, ma lascia ai magistrati moltissime eccezioni interpretative. Tant’è che i giudici, ancora compromessi con l’ex regime, ci vanno a nozze.
La magistratura è ancora pesantemente infiltrata da personaggi “discutibili”. Al punto che nella Suprema Corte di Cassazione siedono magistrati che pochi anni prima facevano parte del Tribunale per la difesa della razza.
La Resistenza è tradita.
Scoppiano proteste e incidenti in molte città quando i tribunali mandano a casa i ducetti locali.
L’associazionismo partigiano non accetta di buon grado la scarcerazione dei loro aguzzini.
A Casale, il governo invia l’esercito e una dozzina di carri armati per mantenere la situazione sotto controllo.
Storici come Mimmo Franzinelli e Sergio Luzzatto sostengono, senza mezzi termini, che quella di Togliatti fu una mossa per accreditarsi come forza popolare e conciliante, anche e soprattutto, agli occhi degli Stati Uniti, poco inclini a ritenere moderati – d’incanto – i comunisti italiani.
Calcoli quanto mai sballati. Prova ne fu che nel 1947, appena un anno dopo l’amnistia, De Gasperi sloggiò per sempre i comunisti dal governo, consegnando, mani e piedi, l’Italia a Washington.
L’amnistia, viene stravolta da altri provvedimenti, che ampliano la casistica dei crimini condonabili.
Nel 1953 il colpo di spugna finale: l’amnistia, accompagnata dall’indulto, è applicata a tutti i reati politici commessi entro il giugno del 1948.
La dottrina della continuità dello Stato, scrive Franzinelli, riporta ai vertici di prefetture e polizia personaggi di schietta fede fascista.
A completare l’opera ci pensa il ministro degli Interni, Scelba, che liquiderà dalla polizia 8 mila agenti di fede comunista. Tutti partigiani.
Il germe del tradimento è già presente nelle righe della Costituzione. La dodicesima disposizione transitoria è vero che vieta la ricostituzione del partito fascista, ma è una formulazione troppo generica. Tant’è che non avrebbe impedito la nascita di un partito ispirato al fascismo, ma con un nome diverso.
Il Movimento Sociale Italiano, che nasce nel ‘46, prima dell’entrata in vigore della Costituzione (1948) già nel 1947 con le elezioni amministrative di Roma, elegge i suoi consiglieri ed è anche grazie ai suoi voti che la Democrazia Cristiana si prenderà il Campidoglio.
C’è di più. Il secondo periodo della dodicesima disposizione transitoria ipotizza una mora di cinque anni, trascorsi i quali anche i responsabili del disciolto partito fascista si possono candidare al Parlamento. (Rizzo e Campi)
Uno sconcio. Altro che Norimberga italiana. Il neofascismo viene istituzionalizzato immediatamente.
Il Movimento sociale italiano, tra manganello e doppiopetto, si ritaglierà un ruolo perfino nell’elezione di presidenti della Repubblica, da Antonio Segni a Giovanni Leone.
E ancora, tra la fine degli anni Sessanta e il successivo decennio, nelle tragiche fasi della strategia della tensione, pezzi di Stato trameranno con i neofascisti responsabili delle stragi più sanguinose.
Fino ad arrivare alle cronache dei giorni nostri con la neonata Repubblica dei Meloni.
Ci si può stupire o indignare perché gli eredi o nipoti del fascismo oggi dettino legge?
Comunque sia, buona festa del 25 Aprile a tutti.