IL ROSSO NON VA PIÙ DI MODA

DI TURI COMITO

TURI COMITO

 

L’allegra compagnia teatrale al governo sta testimoniando ogni giorno che passa una insofferenza evidente verso tutto ciò che ha un richiamo antifascista e verso qualunque cosa abbia a che vedere con qualche bandiera rossa, logora e innocua, tirata fuori da qualcuno più per rimettere ordine nello sgabuzzino che per altro.
Più delle sparate del presidente del senato su via Rasella o sulla costituzione, più che i mal di pancia per il 25 aprile, il chiudersi in casa per il Primo Maggio per fare un consiglio dei ministri rappresenta questo disagio del governo nel governare un paese che sull’antifascismo e, anche ma non soltanto, sulle bandiere rosse (non logore) è stato rifondato.
Questo disagio ha un che di commovente per certi versi.
È lo specchio di una situazione non risolta. Lo specchio di un trascinamento di quel paradigma politico italiano, dominante per circa un quarantennio, che vedeva da una parte il cosiddetto “arco costituzionale” cioè l’insieme di partiti che avevano fatto e firmato la costituzione (quindi pci compreso) e che pertanto escludeva i nostalgici di Salò riuniti attorno al MSI e al suo nume tutelare, Giorgio Almirante e dall’altro, dentro l’arco costituzionale, la regola della “conventio ad excludendum” che prevedeva sí la piena legittimazione democratica del PCI (in Germania era fuori legge come noto) ma anche la sua esclusione dal governo.
Dopo la fine dell’Urss gli ex comunisti hanno impiegato qualche anno a diventare anticomunisti.
Hanno cominciato con lo scimmiottare e poi col l’identificarsi nel liberismo che demonizzavano e che volevano abbattere e hanno finito, qualche mese fa, col votare, entusiasticamente, al Parlamento europeo una risoluzione in cui nazismo e comunismo venivano equiparati.
I post fascisti no.
La “svolta di Fiuggi” è stata per loro solo un passaggio, doloroso ma necessario, per stare al governo e legittimarsi come componente democratica del paese. Ma in fondo le alzate di mano ai funerali di qualche camerata, la venerazione per Almirante, la teologia corporativista, l’idolatria della “nazione” e qualche gagliardetto fascista non sono mai stati messi in cantina e dimenticati.
In breve, a differenza dei post comunisti divenuti anticomunisti, i post fascisti non sono mai divenuti antifascisti.
E, dal loro punto di vista, hanno ragione di essere nei secoli fedeli.
Loro, dopo la caduta di Mussolini hanno visto nel nemico contro il quale combatterono, gli Usa, il loro protettore. Più di ogni altra cosa li accomunava l’anticomunismo. Erano stati sì sconfitti sul campo ma erano uno dei baluardi alle mire di conquista comuniste di conquista dell’universo.
Quando è finita l’URSS hanno esultato esaltati: erano stati dalla parte giusta della storia. Quella caduta li aveva mondati da ogni peccato. Erano, gli anticomunisti, i vincitori della lunghissima guerra non guerreggiata chiamata guerra fredda.
Da qui, io credo, il disagio nel “festeggiare” festività che in qualche modo si richiamano a tradizioni politiche “vinte” dalla storia. Da qui l’insistenza a dire che il fascismo non esiste più come non esiste più (e questa è pura verità) il comunismo. Da qui le giornate del ricordo. Da qui la richiesta incessante di pacificazione nazionale (che altro non sarebbe che non festeggiare il 25 aprile ma il 17 marzo, festa dell’unità d’Italia). Da qui i mal di pancia che derivano ad ogni appuntamneto, residuale, in cui si celebra la memoria di un passato dove, non solo in Italia, ha dominato lo spettro comunista.
La cosa interessante che mi pare di ritrovare in questa ferma posizione dei vinti ma al contempo vincitori della storia, è che la loro è una posizione largamente condivisa.
Lo testimoniano le elezioni recenti e il gradimento della Giorgia Presidentessa.
Non mi stupirebbe se, fra qualche tempo, il 25 aprile venisse degradato da festività segnata in rosso sul calendario a festività civile solo per i cultori della materia.
Mi stupirebbe che qualcuno difendesse la festività da cerchietto rosso sul calendario.
Il rosso non va più di moda.