PUTIN, IL LADRO DI BAMBINI NELLA TERRA DEGLI ORFANI

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Anche prima che scoppiasse la guerra, la situazione dei bambini in Ucraina non faceva per niente sorridere. Secondo le prudentissime stime del governo di Kiev, erano circa 130 mila i bambini ufficialmente senza famiglia, vaganti per la strada o rinchiusi nei 400 orfanotrofi del Paese. Per le associazioni umanitarie operanti sul territorio, invece, il numero corretto superava di gran lunga le 300 mila unità.

Ogni anno migliaia di madri e padri ucraini, già nei primi anni di vita del figlio, firmavano una «scheda del rifiuto», quando trovavano la voglia o la coscienza di farlo. E gli orfanotrofi si riempivano.

Non che se la passassero bene quei bambini, in strutture cui lo Stato elargiva soltanto il 15% degli aiuti economici strettamente necessari. Tant’è che il loro soggiorno non era poi così duraturo. Dopo qualche anno, la maggior parte finiva in strada o non si sa bene dove, facendo così posto ai nuovi arrivati.

Alcuni seri ed ambiziosi orfanotrofi progettavano di insegnare il lavoro di sartoria a coloro che si affacciavano sulla soglia della adolescenza. Ma da Kiev non arrivavano nemmeno le macchine da cucito, tanto meno i soldi per acquistarle.

E le adozioni? Non pervenute, a sentire anche Andrej Voitenko, presidente della associazione cristiana «Cuore Aperto», che già anni fa dichiarava: «Sono pochissime le coppie ucraine che adottano. Qui ci si vergogna di avere un figlio non proprio. O lo si nasconde in casa, o si cambia città».

A partire dal 2014, con lo scoppio della guerra nel Donbass, le adozioni internazionali, che già seguivano il rigidissimo protocollo imposto dalle autorità ucraine e improntato allo slogan «prima gli Ucraini», si sono bloccate. Anche perché gran parte degli orfanotrofi appena presentabili si trovano a pochi km dalla linea del fronte, se non in territorio ora occupato dai Russi.

Con una simile location da horror, l’ordine di arresto internazionale spiccato contro Vladimir Putin dalla Corte Penale dell’Aja, per una presunta tratta di bambini dal Donbass alla Russia, presenta indubbi caratteri satirici. Se coloro i cui genitori firmano la «scheda del rifiuto» finiscono in strutture fatiscenti, spesso gestite come fossero ospedali psichiatrici, per poi finire drogati e prostituiti nelle strade di Kiev, non si vede come possa definirsi «crimine di guerra» il sottrarre da un conflitto armato proprio quei bambini, vittime innocenti tanto delle «schede del rifiuto» quanto del lassismo istituzionale ucraino.

Se poi andiamo a guardare in cosa esattamente consisterebbe il crimine attribuito a Putin e, per far quadrare il cerchio, rifilato anche ad un organo tecnico del calibro del Commissario per i Diritti del Bambino presso il Cremlino, le perplessità aumentano.

L’art. 8, comma 2° lett. e), par. VIII dello Statuto della Corte Penale Internazionale dell’Aja, considera crimine di guerra il «disporre il trasferimento della popolazione civile per ragioni correlate al conflitto, a meno che non lo richiedano la sicurezza dei civili coinvolti o inderogabili ragioni militari».

Ed è qui che casca l’asino. La pratica dell’esercito ucraino, peraltro abusata in molte guerre, di installare postazioni militari in zone densamente abitate, è fatto notorio. Si tratta di uno stratagemma non solo inutile, ma anche deleterio per il proprio popolo. La Convenzione di Ginevra, infatti, se vieta i bombardamenti sui civili, non li considera più illegittimi quando colpiscono postazioni militari che operano negli insediamenti civili. In soldoni, i cosiddetti scudi umani non sono mai serviti a nulla, a parte a far uccidere chi quegli scudi obtorto collo li impersona.

Ecco come il dislocamento dei bambini ad opera dell’esercito russo realizza non una, ma entrambe le fattispecie prima citate, e non considerate dallo Statuto della Corte Penale dell’Aja alla stregua di crimini di guerra: porre in sicurezza migliaia di fanciulli, allontanandoli da un teatro di guerra, e nel contempo soddisfare inderogabili esigenze militari. Creare, cioè, le condizioni per colpire il nemico senza alcun rischio per i civili.

E da qui il paradosso. Putin e Maria Alekseyevna Lvova Belova, Commissario per i Diritti del Bambino presso il Cremlino, oggi sono considerati criminali di guerra per aver allontanato migliaia di fanciulli dalle zone di guerra di un Paese che, con le sue fallimentari politiche dell’infanzia, ne ha lasciate svariate centinaia di migliaia letteralmente nelle mani del Signore.