NELLA TANA DELL’AGNELLO

DI MARIO PIAZZA

Mario Piazza

 

Nella mattinata di ieri tra i delegati CGIL era circolata una ipotesi sul come accogliere la Meloni al congresso che sarebbe stata strepitosa: Abbandonare la sala lasciando sulla poltrona al proprio posto un animaletto di peluche.
Non è andata così.
Una parte della sala è uscita cantando Bellaciao ma l’agnello del titolo, lo chiamo così per la sua timidezza ma soprattutto per la sua vocazione ad essere sacrificato, è rimasto ad ascoltare le lusinghe del suo carnefice.
Io la penso come Giancarlo Pajetta prima che il vecchio leader comunista cominciasse a spegnersi all’unisono con il suo PCI:
“Noi con i fascisti abbiamo finito di parlare il 25 aprile 1945!”
Un clamoroso autogol invitare la Meloni al congresso, e non mi importa nulla che si trattasse di semplice prassi seguita fin dalla fondazione della CGIL nel 1944, anzi ragione in più per interrompere la prassi manifestando così l’irriducibile disprezzo della classe operaia per il fascismo, neo o vetero non fa alcuna differenza.
La Meloni non andava invitata ma non solo in segno di disprezzo per la politica che tanto degnamente sta rappresentando, non andava invitata perché leggere tra le righe del suo discorso non è alla portata di tutti.
La destra sociale di Giorgia Meloni non ha la intrinseca comicità del “presidente operaio” e neppure la rozza aggressività del buffone del Papeete, ha invece la subdola capacità di mostrarsi preparata e ragionevole mentre persegue i suoi scopi di sovversione dell’ordine democratico e sociale.
Landini non lo sa ma tra chi ha ascoltato la Meloni in televisione e persino tra i suoi delegati non sono stati pochi quelli che, incapaci di riconoscere il lupo travestito da pecora, hanno pensato e persino detto “Ma sai che in fondo non ha tutti i torti?”
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Beh, la Pasqua è vicina. Quest’anno l’agnello lo abbiamo sacrificato con tre settimane d’anticipo.