SIAMO DA RIFONDARE

DI SALVATORE GRANATA

 

Ci sono popoli, come quello italiano, che si fanno abbindolare dall’oratore politico di turno che attraverso l’uso di un linguaggio colto e raffinato tende ad imbracare o ammaliare le folle, salvo poi produrre zero per la collettività e per il bene dei meno abbienti. Oppure, sempre tra gli italiani, ci sono anche quelli che si innamorano di gente che urla senza contenuti né visione politica e offre parimenti lo stesso effetto: zero soluzioni.
E poi ci sono i francesi, ed esiste una sinistra in Francia. E quando c’è una sinistra vera, non si scappa, si lotta.
Da settimane, infatti, i francesi scendono in piazza per manifestare contro la riforma delle pensioni. Ma non 4 disperati, milioni.
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E protestano perché non vogliono assolutamente che la soglia sia alzata dai 62 ai 64 anni. Per molto meno di quello che subiamo noi da decenni. E non è che si mobilitano solo gli anziani, no, assolutamente. I giovani sono al loro fianco, così come gli adulti.
Mica sono italiani. Mica sono polli. Non si fanno fregare da lorsignori che quando parlano di un tema in particolare riescono a mettere contro il popolo: percettori del reddito e lavoratori, giovani o pensionati, lavoratori pubblici e privati. No, perché oltre ad avere una mentalità diversa, i francesi sono solidali e capiscono che i giovani prima o poi diventeranno pensionati, che uno può perdere il posto di lavoro o cambiarlo.
L’importante che ci sia dignità per tutti.
Il “Dividi et impera” con annessa dispersione sociale in Francia non funziona. E non hanno idoli in politica, né tifosi sui social a chattare come i disperati per fare da scudo ai loro eroi, mentre proprio i loro eroi li tradiscono perennemente.
Infatti hanno paralizzato un Paese: blocchi stradali, scuole chiuse, treni e voli cancellati, calo di produzione di energia elettrica e stop anche alle forniture di carburanti. Potrei continuare ad elencare le iniziative coraggiose intraprese dai francesi perché tantissimi settori produttivi e categorie sociali hanno risposto alla chiamata dei sindacati.
Eh già, i sindacati, non è uno scherzo. In Francia i sindacati funzionano e fanno il loro dovere: tutelano i lavoratori, invogliano e organizzano scioperi e manifestazioni per la gente comune, non si siedono a tavolino con i politici per prendersi un aperitivo o un caffè.
Non fanno finta di mediare o mediano per entrare loro stessi in politica…no. Mediano per i diritti delle persone.
E i francesi – che per carità non sono perfetti in tutto, ma hanno gli attributi come gli spagnoli – non stanno a casa se vedono che i loro diritti sono in pericolo e vengono sempre più limitati. No, i francesi hanno nel sangue il 1789. I francesi sanno anche che dopo la Presa della Bastiglia ci fu una Restaurazione con Napoleone Bonaparte e successori. Ma niente, ai francesi interessa soltanto che con la Rivoluzione, con la cultura, l’organizzazione, l’intransigenza e la solidarietà si ottiene sempre qualcosa. I francesi non delegano, non attendono.
Poi, anche quando perdono, come nel caso specifico che ho voluto appositamente riportare (la riforma delle pensioni in questione è stata approvata ieri dal Sénat e la prossima settimana sarà ratificata dall‘Assemblée nationale, un ramo del parlamento francese), ci provano e ci riproveranno nuovamente fino a ottenere qualche compromesso o anche solo per far capire che il popolo è vivo.
Scenderanno in piazza tutte le volte che gli verrà fatto un torto inerente ai loro diritti. Perché sanno che solamente con il voto, le democrazie avanzate europee non le scalfisci.
Mentre noi italiani, figli dei partigiani, della Costituzione, del ’68, non abbiamo imparato nulla.
Abbiamo mantenuto e continuiamo a mascherare tutte le disuguaglianze che esistevano prima dell’Unità (e neanche più di tanto, vista la promozione dell’Autonomia differenziata). Però siamo riusciti in passato a liberarci di un’oppressore (il fascismo) molto più grande di certe ingiustizie e oggi, con tutti i mezzi a disposizione che abbiamo, facciamo fatica a ristabilire una democrazia sana.
Ci arrendiamo a tutte le Restaurazioni e siamo i primi complici di queste. Ci vendiamo facilmente al miglior offerente. E scendiamo in piazza per il calcio o se Mimma del grande fratello si rompe un’unghia. Siamo un Paese di “curtigghiari” (gossippari).
Siamo caduti in basso e riusciamo a stento a lamentarci.
Stiamo sui social ad osannare qualche idolo politico e basta. Convinti che quello la notte non dorma, preso da attacchi di gastrite, perché pieno di ansia e pensieroso su come risolvere i nostri problemi. O li esaltiamo come esseri superiori quando si presentano a qualche manifestazione, perché è la loro presenza che illumina l’evento.
Non ce la faremo mai. Perché siamo mentalmente occlusi ed egoisti. E quelli forti in politica, quelli bravi, anche le forze politiche che si reputano migliori, non li fanno passare neanche dalla porta, per gelosia o con la scusa del nonnismo o dell’inesperienza.
Noi italiani non siamo in grado di fare autocritica e riusciamo solamente a dare la colpa agli altri e a fare vittimismo con l’informazione deviata (pur avendo Travaglio, Scanzi, Orsini, Gomez, Padellaro, Di Battista e tanti altri sempre in tv o con pezzi scritti sui giornali).
E poi ci chiediamo pure perché la gente non vota e gli altri, quelli che hanno i privilegi, votano sempre gli stessi.
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Siamo da rifondare.