CHI VUOLE ALZARE IL LIVELLO (E IL RISCHIO) DELLO SCONTRO DIRETTO CON LA RUSSIA. RIVELAZIONI DEL NEW YORK TIMES

DI PIERO ORTECA

REDAZIONE

 

 

L’Occidente è in guerra anche se molti non erano d’accordo. Usa e Gb e una parte di Nato sono già dall’inizio dei cobelligeranti contro la Russia aggressore, con armi, droni, razzi, satelliti, intelligence e corpi speciali. Per appoggiare l’Ucraina a difendere una parte dei suoi territori, credevamo sino a ieri.
Adesso dalla Casa Bianca (il Pentagono sconsiglia), il contrordine: ora Kiev può attaccare la Crimea e per il Cremlino, direttamente il territorio russo con armi americane. Per estendere la guerra sino a dove? O per arrivare a trattare da una posizione di forza? E il rischio nucleare, svanito?

La Crimea che Kiev riconosce Russia come bersaglio

Per che cosa cercano, incessantemente, nuovi carri armati pesanti gli ucraini? Risposta più ovvia è “per contrastare efficacemente la Russia sul campo di battaglia”. Sembra troppo ovvio, ma non tanto. Perché i 300 tank (quando arriveranno e se saranno realmente tanti) potranno essere decisivi solo se utilizzati in massa, per sfondare in un unico punto. Di cosa stiamo parlando? Di un veloce cambiamento di strategia scaturito lungo l’asse che da Kiev porta alla Casa Bianca. In sostanza, le frenetiche consultazioni tra i funzionari americani e ucraini avrebbero portato a un nuovo e molto più azzardato salto di qualità della guerra: attaccare senza pietà la Crimea e, più specificamente, distruggere senza appello il Ponte di Kerch, la lunghissima bretella di collegamento che unisce la penisola alla Russia.

I Leopard 2 e i carri Abrams servirebbero egregiamente allo scopo, assieme alle batterie di missili a lunga gittata Himars, che ora Biden si accinge a cedere agli ucraini. Progetto militare che capovolge completamente la linea di ragionata cautela fin qui seguita da Washington.

Cautela addio con quali certezze? I dubbi militari

Lo zibaldone strategico è raccontato nei dettagli dal New York Times, che calca la mano su un fatto: al Consiglio per la sicurezza nazionale sono convinti che si tratti di una pericolosa escalation, anche se (forse) il rischio che Putin utilizzi armi nucleari tattiche potrebbe essere inferiore a quello che si pensava. Attenzione: potrebbe essere, perché, anche su tale questione, i pareri divergono. Il NYT non collega il trasferimento dei carri armati all’eventuale offensiva contro la Crimea, ma scrive che gli ucraini (e la coalizione occidentale) dovranno usare una potenza di fuoco notevole, per minacciare le forze russe. Da quello che si è riusciti a capire, l’attacco alla penisola-roccaforte di Putin dovrebbe avere lo scopo, in primis, di tenere sotto pressione la diplomazia moscovita in caso di negoziati. E qui la faccenda si fa ingarbugliata.

Contraddizioni e vecchie bugie

Finora, gli americani hanno sempre parlato di sostenere Zelensky, per aiutarlo a recuperare i territori che gli sono stati sottratti con l’invasione dell’anno scorso. Lo ha ribadito fino a tempi recenti il Segretario di Stato, Antony Blinken. Adesso spunta la Crimea, quasi improvvisamente, a sparigliare le carte della geopolitica internazionale. La sensazione è che Biden, come detto, voglia sfruttare questo nuovo canale strategico al tavolo dei negoziati, mentre per gli ucraini la risposta è più complessa. La governance del Paese, come dimostrano anche recenti incriminazioni ed arresti, probabilmente è più frammentata di quanto sembra. E anche sulla soluzione da dare alla crisi con Mosca, di sicuro esistono diverse posizioni. Tuttavia, è chiaro, anche se non realistico, come Zelensky e tutta la sua popolazione sperino di recuperare il controllo della Crimea, sottratta loro da Putin nel 2014.

Attacco con armi americane a Crimea e territorio Russo?

Il punto è che la mossa di attaccare la penisola, con armi americane di ultima generazione, potrebbe configurarsi, agli occhi del Cremlino, come un vero e proprio atto di cobelligeranza, condotto contro un territorio considerato giuridicamente russo. E questo in forza dei referendum di annessione, svoltisi nel 2014. Il New York Times sottolinea come questa valutazione abbia finora bloccato i rifornimenti di armi statunitensi ‘sensibili’. La Crimea e il territorio russo non dovevano essere attaccati, per timore di rappresaglie e di un’escalation della crisi. Ora, evidentemente, il vento è cambiato. Gli ucraini hanno spiegato agli americani che Putin utilizza la Crimea come una vera testa di ponte, capace di rifornire e assistere le sue truppe dalla regione di Odessa fino al Donbass meridionale. Sebastopoli, insomma, è una spina nel fianco di Kiev, che spesso costringe le brigate ucraine a combattere quasi su due fronti.

Ragioni contrapposte, ma il possibile reale?

Ognuno, come si vede, ha le sue ragioni e metterle assieme a quelle degli altri è straordinariamente difficile. Che dire, allora, di questa rivoluzione copernicana degli obiettivi militari, fissati però dal potere politico? La sensazione è quella di un’accelerata verso le trattative, ma da posizioni di forza. Questo implica che, prima della diplomazia, si intensifichi il ritmo della battaglia e, purtroppo, anche quello della perdita di vite umane. Colpire oggi e conquistare lembi di territorio, anche insignificanti, significa, domani, aumentare il proprio potere contrattuale. James Cleverly, il nuovo Ministro degli Esteri britannico, ha detto: “Non ci possiamo permettere che questo conflitto si trascini e si trasformi in uno stallo di logoramento, come nella prima guerra mondiale”. Giusto. Il problema, però, è che la pezza non dev’essere peggiore del buco. Attaccare la Crimea, per avere qualche vantaggio al tavolo delle trattative, potrebbe voler significare, invece, scatenare una guerra mondiale. Se non peggio.

Dubbi del Pentagono con correzioni

D’altro canto, è stato proprio il generale Mark Milley, Capo di Stato maggiore delle forze armate americane, a sentenziare, senza esitazione, nel novembre scorso, che gli ucraini, da soli, non sarebbero mai riusciti a cacciare i russi dai territori di cui si erano impossessati. Una settimana fa, però, a Ramstein, nelle dichiarazioni ufficiali ha cambiato idea. In verità, più che di una crisi bellica, pare che si stia parlando di una partita di poker.

 

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AVEVAMO DETTO

Articolo di Piero Orteca, dalla redazione di 
28 Gennaio 2023
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PIERO ORTECA

Piero Orteca, giornalista, analista e studioso di politica estera, già visiting researcher dell’Università di Varsavia, borsista al St. Antony’s College di Oxford, ricercatore all’università di Maribor, Slovenia. Notista della Gazzetta del Sud responsabile di Osservatorio Internazionale.