LO SAPEVANO TUTTI

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Novembre 1978

Ci sono voluti oltre sei mesi perché si arrivasse ad una conclusione che tutti conoscevano già dal primo giorno.

Non si è trattato né di suicidio, né di attentato. Per la Procura della Repubblica di Palermo Peppino Impastato nella notte tra lunedì 8 e martedì 9 maggio è stato ammazzato. Le perizie balistiche e necroscopiche non ammettono dubbi.
Ridicolizzati tutti quelli che avevano strombazzato la teoria del suicidio di un bombarolo solitario.
A caldo in un fonogramma il procuratore capo Gaetano Martorana scrive: <<Attentato alla sicurezza dei trasporti mediante esplosione dinamitarda. Verso le ore 0,30-1 del 9.05.1978 persona allo stato ignota, ma presumibilmente identificata in tale Impastato Giuseppe si recava a bordo della propria autovettura all’altezza del km. 30+180 della strada ferrata Trapani-Palermo per ivi collocare un ordigno dinamitardo che, esplodendo, dilaniava lo stesso attentatore>>.
Il “Corriere della sera”, tanto per citarne uno, gli fa eco titolando: <<Ultimissima. Terrorista dilaniato dalla sua bomba. Nella notte sulla linea ferroviaria Trapani-Palermo. Il morto è Giuseppe Impastato, 30 anni, capolista di Democrazia proletaria nelle prossime elezioni amministrative. Trovato un biglietto: sono un fallito>>.
Per i magistrati quello di Peppino è un omicidio ad opera di ignoti. <<I soliti ignoti>>. Ma su chi sono quei maledetti la famiglia Impastato non ha la minima incertezza e l’ha fatto scrivere a chiare lettere sulla tomba di ciò che è rimasto di Peppino.
<<Giuseppe Impastato, rivoluzionario, militante comunista ucciso dalla mafia democristiana>>.
Quelli che scrivono bene direbbero che la storia di Peppino è una metafora siciliana. Il figlio del mafioso ucciso dalla mafia. Il padre che giura fedeltà a “cosa nostra” e il figlio contestatore che la sfida. Ma in Sicilia basta fare nomi e cognomi di chi comanda davvero per fare una finaccia.
<<La distanza più breve fra due punti – spiegava Peppino in una delle sue mille arringhe per denunciare il marcio di Cinisi – non è una retta, ma una serie di curve inventate dal sindaco per favorire gli amici nell’esproprio delle terre destinate alla costruzione di una autostrada>>.
Peppino, parlando pochi giorni prima dalla sua morte, accusò la commissione edilizia di Cinisi di aver rilasciato una licenza ad un costruttore prestanome della mafia, relativa alla costruzione di un edificio a cinque piani nella zona dell’aeroporto di Punta Raisi, dove non è consentito superare gli undici metri di altezza. Peppino, forse, ha iniziato a morire proprio da qui. Dall’ultimo altarino messo in piazza.
Impastato frugò anche nell’inchiesta sulla strage di Alcamo Marina nel 1976, in cui vennero uccisi due carabinieri, freddati con cinque colpi di pistola nel sonno. In un primo momento venne seguita la pista terroristica farneticando di “Brigate Rosse siciliane”.
Successivamente furono accusati cinque giovani malavitosi del posto. Non si sa bene che cosa Peppino avesse scoperto intorno alla strage. Forse la verità sulle torture che gli accusati denunciarono di aver subito nel corso degli interrogatori. Fatto sta che, all’indomani dell’assassinio di Impastato, i documenti su Alcamo Marina vennero sequestrati dai carabinieri nella casa della madre Felicia e mai restituiti.
Nel maggio 1984 l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, emette una sentenza in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti.
Nel gennaio 1988 il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria al boss Badalamenti, ma nel maggio 1992, lo stesso Tribunale di Palermo dispone l’archiviazione del “caso”.
Giugno 1996, in seguito alle dichiarazioni del pentito Salvatore Palazzolo, che indica Badalamenti come il mandante dell’omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l’inchiesta viene riaperta.
Nel 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto.
Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise condanna Vito Palazzolo a 30 anni di reclusione. L’11 aprile del 2002 a Gaetano Badalamenti viene comminata la pena dell’ergastolo.
Veniamo ad oggi. Resta irrisolto il nodo processuale del depistaggio. A riguardo sono indagati per favoreggiamento il generale Antonio Subranni (già condannato in primo grado al processo trattativa Stato-mafia) e per falso i 3 sottufficiali che all’epoca condussero la perquisizione a casa Impastato.