“OCCUPABILE”

DI ALESSANDRO GILIOLI

 

La parola del 2022 che si chiude, secondo me, è senza dubbio “occupabile”.

La Treccani ancora non la contempla ma in compenso ha “occupabilità”, definito un neologismo che indica la “capacità delle persone di essere occupate o di saper cercare attivamente, di trovare e di mantenere un lavoro”.
Dal che si deduce che è occupabile chiunque sia nelle condizioni soggettive (“capacità”) di trovare un lavoro.
Solo che, nella realtà delle cose, queste condizioni non dipendono solo dal soggetto in cerca di lavoro, ma anche dal mondo all’esterno. Si può essere in condizioni soggettive di cercare un lavoro (buona volontà, skills, etc) ma poi lo si trova solo se le condizioni oggettive lo permettono, cioè se c’è un’offerta.
“Occupabile”, invece, indica una condizione soggettiva indipendente dal contesto esterno. Se sei “occupabile” non ci può essere nessun motivo per cui non lavori, a parte la tua pigrizia.
Ma c’è di più, ed è un paradosso.
“Occupabile”, come parola, indica una condizione passiva: come “avvitabile”, “mangiabile”, “smontabile”. Un oggetto a cui si può “far fare” una cosa.
Di qui il paradosso: si soggettivizza totalmente una situazione che invece è anche oggettiva, ma poi la si ri-oggettivizza in forma di malleabilità passiva, tutto sommato disumanizzante
Le parole fanno la realtà, si sa. E “disoccupato” era termine neutro, che non implicava colpevolizzazioni o passivizzazioni. Uno poteva essere “disoccupato” per responsabilità sua, certo, ma anche del contesto, del mercato, del padrone che ha chiuso la fabbrica e così via: era appunto un termine neutro. Con “occupabile” invece è stato cambiato il volto del disoccupato, diventato allo stesso tempo unico responsabile della sua condizione e oggetto passivo di azioni esterne. Il che è evidentemente una “contradictio in adiecto”. Eppure, ferocemente, funziona.