PIAZZA FONTANA NOI LO SAPPIAMO SONO STATI LORO

DI ALFREDO FACCHINI

Alfredo Facchini

 

Iniziamo dalla fine. In questo paese che dimentica tutto. Sono stati i fascisti. Sono stati tutti assolti, ma sono stati loro. I responsabili della bomba di piazza Fontana sono Franco Freda e Giovanni Ventura. Anche se non sono in carcere, anche se non potranno più essere giudicati, sono stati loro. Ci sono ammissioni, testimonianze, fatti. C’è scritto anche nelle sentenze dei processi che hanno assolto altri imputati.
Milano, 12 dicembre 1969. A metà pomeriggio la “Banca Nazionale dell’Agricoltura” in Piazza Fontana è ancora affollata per le contrattazioni del mercato agricolo e del bestiame. Alle 16 e 37, il botto. Nel salone al piano terra dell’edificio, esplode una bomba. E’ una strage. Il bilancio finale è di 17 morti e 88 feriti.
Gli attentati terroristici di quel giorno furono cinque, concentrati nell’arco di meno di un’ora. A Roma esplodono tre bombe che provocano 16 feriti, una alla “Banca Nazionale del Lavoro” in via San Basilio, una in piazza Venezia e un’altra all’Altare della Patria. A Milano, una seconda bomba viene ritrovata inesplosa in piazza della Scala. Soltanto il caso ha voluto che non si trasformasse in un altro inferno.
“Non abbiamo niente in mano – disse a caldo il ministro degli Interni, il democristiano Franco Restivo – ma i colpevoli sono gli anarchici”.
Bussano subito alla porta degli anarchici meneghini. Nella notte del 15 dicembre, Giuseppe Pinelli, uno degli animatori più in vista del “Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa”, vola giù da una finestra della questura milanese durante un “concitato” interrogatorio. Muore poche ore dopo all’ospedale “Fatebenefratelli”. La versione ufficiale non poteva che essere quella del suicidio. Ma non ci crede nessuno.
Lo stesso giorno sbattono in galera un innocente: l’anarchico Pietro Valpreda, messo in mezzo da un tassista che racconta di averlo portato sul luogo della strage. Valpreda sarebbe sceso con una valigetta e sarebbe tornato sul taxi senza. Fino al 1972 Valpreda è il mostro. Con millecentodieci giorni in cella a “Regina Coeli”.
La storia giudiziaria della strage – disseminata di bugie, capri espiatori e coperture – è durata più di 30 anni e si è spostata lungo tutta l’Italia. Ma è nelle sabbie mobili di Catanzaro, dove dal 72 all’81 si sono svolti quattro processi, che sono finiti inghiottiti tutti gli atti e le istruttorie di Milano, Roma e Treviso. Alla fine: due maxi processi, nessun colpevole. Come solo la “Giustizia Italiana” sa fare. Solo condanne minori per i depistaggi dei servizi segreti e per gli attentati preparatori.
Dietro la madre di tutte le stragi italiane, che segna l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione” per trascinare il paese in una spirale autoritaria, si nasconde un’entità superiore alla manovalanza fascista, che, di volta in volta, assume le sembianze della loggia massonica P2, del Sid, dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, diretto all’epoca da Federico Umberto D’Amato, fino ad arrivare all’intelligence statunitense.
“Si è parlato di una guerra a bassa intensità combattuta per fermare l’avanzata dei comunisti. Il sistema atlantico nel suo complesso aveva questo disegno e ogni paese lo realizzava come voleva. Da noi sono state usate le stragi”. (Federico Sinicato, legale parte civile familiari delle vittime)
L’obiettivo era destabilizzare per stabilizzare.
Scrive Guido Salvini, che ha condotto l’istruttoria dal 1989 al 1997: “La strategia della tensione è stata gestita attraverso un dispositivo militare composto da nuclei fascisti, servizi segreti, massoneria che rispondevano ad una entità superiore: la Cia”.
Il vero movente delle bombe era quello di indurre, l’allora Presidente del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a decretare lo stato di emergenza nel Paese, in modo da assecondare l’insediamento di un governo autoritario.
“Erano state seriamente progettate in quegli anni, anche in concomitanza con la strage, delle ipotesi golpiste per frenare le conquiste sindacali e la crescita delle sinistre, viste come il “pericolo comunista”, ma la risposta popolare rese improponibili quei piani. Il presidente Rumor, fra l’altro, non se la sentì di annunciare lo stato di emergenza. Il golpe venne rimandato di un anno, ma i referenti politico-militari favorevoli alla svolta autoritaria, preoccupati per le reazioni della società civile, scaricarono all’ultimo momento i nazifascisti. I quali continuarono per conto loro a compiere attentati. Cercarono anche di uccidere Mariano Rumor, con la bomba davanti alla Questura di Milano (4 morti e 45 feriti) del 17 maggio 1973, reclutando il terrorista Gianfranco Bertoli”. (Guido Salvini)
Un anno dopo, Piazza Fontana, lo stesso “dispositivo” e gli stessi uomini entrarono in azione per il golpe Borghese, un tentativo di colpo di stato andato in fumo anche questa volta all’ultimo momento. Fascisti e massoni cercarono di coinvolgere anche i boss di “Cosa Nostra”, come del resto è stato in più occasioni ammesso dagli stessi pentiti di mafia.
Insomma, un verminaio che ha fatto uso delle bombe come metodo di lotta politica per cambiare tutto in modo che nulla cambiasse. Le stragi sono continuate, poi non ce n’è più stato bisogno. Chi governava nel 1969, la “Democrazia Cristiana”, ha continuato a governare fino a cessazione attività nel 1994.
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