SE UNA POVERA INSEGNANTE INQUADRA MATTEO RENZI

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Una donna scorge Matteo Renzi in una stazione di servizio in provincia di Roma e decide di riprenderlo col telefonino mentre parla con un individuo, che poi si scoprirà essere Marco Mancini, allora dirigente del Dis, il Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza.
Manda ad un amico giornalista quel video, che suscita l’interesse della redazione di Report, che a sua volta, dopo qualche mese, lo manda in onda. La donna, un’insegnante, finisce nel mirino della Procura di Roma, che ne chiede il rinvio a giudizio.
Esistono sociologi che sbagliano analisi, ingegneri che commettono errori di progettazione, medici che sbagliano diagnosi, avvocati che non capiscono una causa. E magistrati che prendono una cantonata nell’indagare qualcuno. La fallibilità possiamo considerarla una virtù del genere umano, ma non aver capito nulla di una norma, tanto da arrivare a richiedere un rinvio a giudizio, non può essere considerata una virtù.
Stiamo parlando dell’art. 617-septies del codice penale, introdotto con D.Lgs. 29 dicembre 2017 n. 216, che punisce «Chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione».
Già da una prima lettura si capisce come il comportamento dell’insegnante c’entri con quella norma esattamente come il cavolo con la colazione. Dove sarebbe qui la lesione della reputazione? Da quando per un politico parlare con il dirigente di un organo dello Stato è una cosa disdicevole, tanto da rischiare la reputazione?
Essere colti per strada nell’atto di acquistare droga da uno spacciatore, o mentre si intasca una tangente, o si contratta il prezzo con una prostituta, o essere ripresi ubriachi in un locale mentre si palpeggia il sedere di una sconosciuta, questi sono comportamenti disdicevoli, la cui diffusione rovinerebbe una reputazione.
Inoltre, la donna non ha diffuso personalmente quel video, altro elemento preteso dalla norma. Anche se ciò non ha molto valore, perché se a diffondere il video è un’altra persona e chi lo ha realizzato ne è consapevole, risponderebbe a titolo di concorso nel reato insieme al diffusore.
Ma nel nostro caso chi ha diffuso quel video è Report, nota testata giornalistica. E il secondo comma della norma esclude la punibilità in alcuni casi, tra i quali spicca l’esercizio del diritto di cronaca. E Renzi è un personaggio noto, che in un luogo pubblico non può vantare un diritto alla riservatezza, a differenza del comune mortale.
E se è vero che non può scorgersi nulla di male in un Renzi che chiacchiera per strada con un dirigente dei servizi segreti, è anche vero che si tratta di un avvenimento di interesse pubblico, e che quindi può diventare oggetto di pubblicazione, poiché la collettività può legittimamente chiedersi di cosa possa mai parlare uno come Renzi con un dirigente dei servizi segreti con cui si è dato appuntamento presso un distributore di benzina. Soprattutto se si considera che quell’incontro avvenne soltanto un mese prima della caduta del governo Conte II, verificatasi dopo un lungo periodo di tensioni proprio con il leader di Italia Viva.
La conclusione è d’obbligo. Dal momento che la cronaca si riferisce a personaggi pubblici, o comunque a fatti di interesse pubblico, ne consegue che l’art. 617-septies individua come vittima del reato soltanto il soggetto anonimo, ossia colui che non vanta alcun rapporto con la collettività, unica beneficiaria del diritto di cronaca.
Del resto, se si considera che l’iter di approvazione di quella norma ebbe origine dalla tragedia di Tiziana Cantone, quella povera ragazza napoletana che si suicidò dopo che un video che la ritraeva impegnata in una fellatio venne da un traditore dato in pasto agli onanisti del web, tanto da essere riconosciuta persino nei negozi di Rimini, città dove si era rifugiata per la vergogna, appare chiara la tipologia di autore che quella norma vuole inchiodare alle proprie responsabilità.
Insomma, la norma vuole punire soltanto quelle lesioni della reputazione che non hanno un oggettivo interesse pubblico, e che di conseguenza non sono giustificate dal diritto di cronaca.
Probabilmente quel pubblico ministero fatica a rendersi conto di cosa possa voler dire incriminare una persona che si è limitata a riprendere per strada un personaggio pubblico. Quante persone che si permettessero di riprendere un personaggio pubblico per strada potrebbero finire nel tritacarne delle Procure, se un simile comportamento giudiziario venisse sdoganato?