PORGIAMO LE NOSTRE SCUSE AD ANDREI SAKHAROV

DI ANTONELLO TOMANELLI

ANTONELLO TOMANELLI

Cosa hanno in comune i due personaggi nella foto? Nulla.
Uno lo conosciamo tutti. L’altro è Andrei Sakharov, che certamente sarà ancora orgoglioso del premio Nobel per la Pace ricevuto nel 1975, ma sarà andato in totale confusione nell’apprendere che il premio dedicato alla sua memoria, quello per la libertà di pensiero, dopo aver insignito Nelson Mandela, Alexander Dubcek e le Madri di Plaza de Mayo, ora è finito nelle mani di uno come Zelensky.
Un tipo molto particolare Sakharov. Genio della fisica, con i suoi brillanti studi assicura la bomba atomica all’URSS, che dì li a poco ne farà esplodere una di 58 Megatoni nell’isola di Novaya Zemlya, prima periferia del polo nord, generando un fungo alto 65 kilometri.
Quando si rende conto del mostro che ha creato, si pente e incomincia a lavorare per la Pace, fino a convincere i Grandi Cinque dell’ONU a firmare nel 1968 il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari.
I sensi di colpa lo spingono a sfidare apertamente i suoi Capi. Nel 1974 critica pubblicamente Breznev per la sua politica contro i dissidenti. Un gesto impensabile nell’URSS.
Ma per i sovietici è un mito vivente, quindi la reazione del pubblico ministero che lo convoca non può che consistere in un misto tra paternale e preghiera di tornare a fare il genio compreso da chiunque.
Ma ormai Sakharov non lo fermerebbe più nemmeno l’atomica che ha inventato. Una volta uscito dall’ufficio del pubblico ministero, convoca una conferenza stampa nel centro di Mosca, aprendola addirittura ai giornalisti stranieri e mettendo in guardia il mondo dai pericoli rappresentati da «un URSS troppo militarizzato nelle mani di una burocrazia ufficiale di Stato».
L’anno successivo non potrà andare a ritirare il Nobel per la Pace perché le autorità russe lo hanno già confinato a Gorky, proprio a poche centinaia di metri dalla struttura dove lui stesso, con le sue ricerche, ha reso l’URSS una superpotenza nucleare.
Un tipo tosto Sakharov, che soltanto Gorbaciov riprese dall’oblìo di Stato, per morire pochi anni dopo, nel 1989.
Per come è stato trattato e per la perseveranza dimostrata dopo la metamorfosi, certamente è la personalità più azzeccata da associare ad un premio per la libertà di pensiero, sull’ovvio presupposto che chi lo riceve ha lottato, anche fino alla morte, per garantire a tutti quella libertà. Zelensky pare più aver lottato per garantirla soltanto a se stesso, facendo jogging internazionale per interrompere i parlamenti, i festival e le orazioni funebri in tutto il mondo.
Per non parlare poi dello stesso popolo ucraino, che ha visto chiudere tante televisioni proprio dal potente Zelensky, perché a quanto pare erano un po’ troppo obiettive nel raccontare i fatti riguardanti la Russia. E che dire della libertà di parola degli abitanti del Donbass, ai quali Zelensky e il suo precedessore hanno vietato per legge di esprimersi in russo.
E certamente, se dobbiamo guardare al significato del premio, uno come Julian Assange, candidato ad aggiudicarselo, certamente presenta un profilo opposto a quello di Volodymyr Zelensky e molto simile a quello di Andrei Sakharov.