Vladimir Putin

L’INDOLE DI PUTIN E LA PROFEZIA DI BISMARCK

DI ANTONELLO TOMANELLI
REDAZIONE

Celebrata dalla Propaganda come vittoria decisiva su una Russia allo sbando, analizzata da esperti estranei a conflitti di interesse, la recente controffensiva ucraina si è rivelata una ritirata tattica dell’esercito di Mosca, costata all’Ucraina un numero impressionante di morti e che porterà certamente ad una recrudescenza del conflitto. Scott Ritter, ex ufficiale dell’intelligence USA, l’ha definita «una delle manovre più inutili e stupide della storia moderna».

Per capire cosa ci attende a medio-breve termine, bisogna tener presente come si è arrivati fin qui. E, soprattutto, chi è Vladimir Putin.

A dispetto di quanto promesso dagli USA a Gorbaciov, che ci credette, la Nato, partendo da uno Eltsin inginocchiato, annette pian piano tutto l’ex Patto di Varsavia, oltre alle tre Repubbliche Baltiche confinanti con la Russia.La tensione sale alle stelle con l’innescarsi della crisi ucraina, quando nel 2014 le violenze di Euromaidan a regia USA portano alla destituzione del presidente filo-russo Yanukovic, sostituito da Poroshenko, russofobo e sfegatato filo-atlantista. Su ordine di Washington stravolge la Costituzione ucraina, inserendovi espliciti riferimenti al processo di adesione alla Nato in ben cinque articoli. L’obiettivo degli USA è chiaro: anche l’Ucraina deve entrare nella Nato.

Sotto Poroshenko la violenza nel Donbass raggiunge livelli mai visti. Putin, che oltre ad essere cintura nera di judo nonché abile scacchista, è laureato in legge con una specializzazione in diritto internazionale, pretende garanzie. Ottiene gli accordi di Minsk, che decretano la fine delle ostilità e il riconoscimento dell’autonomia degli oblast di Donetsk e Luhansk. Cosa importante è che negli accordi viene prevista l’istituzione di una fascia smilitarizzata, che separa il Donbass dal resto dell’Ucraina per 120 km. I timori di Putin che la Nato sconfini paiono dissiparsi.

Ma gli accordi di Minsk diventano la carta utilizzata per lucidare il tavolo su cui sono stati siglati. Nel 2019 viene eletto presidente Zelensky. Memore del recente passato da comico, promette l’immediata cessazione delle ostilità nel Donbass, ma accelera il processo di adesione dell’Ucraina alla Nato.E mentre nel Donbass la repressione continua, insieme alla graduale apertura dell’ombrello Nato sull’Ucraina, un Putin al limite della pazienza incomincia a lanciare ultimatum. Non chiede granché, solo il rispetto degli accordi di Minsk. Ma da Washington lo scherniscono: l’Ucraina ha il diritto di entrare nella Nato.

Il resto, è storia degli ultimi mesi.
Si può parlare di bullismo degli USA verso la Russia? Probabilmente sì. Ma qui abbiamo un problema. Anche Putin è un bullo. E che bullo. Cresciuto nei bassifondi di San Pietroburgo quando ancora si chiamava Leningrado, amava ripetere: «Quando la rissa è inevitabile, colpisci per primo».

La sera del 9 novembre 1989, caduto il muro di Berlino, è a Dresda a difendere la sede del Kgb da una folla minacciosa. La affronta sulla scalinata dell’ingresso principale, arma in pugno: «Sono un ufficiale. Questa pistola è carica con 12 pallottole. Una la lascio per me. Ma compiendo il mio dovere, dovrò sparare».

Uno così non lo fermi. Uno così si fermerà soltanto quando si sarà preso un terzo di Ucraina, togliendole lo sbocco sul mar Nero e chiudendo la partita in Transnistria, già separatasi dalla Moldavia, dove tutti lavorano per aziende russe e le pensioni sono pagate in rubli.

Aver provocato per anni un russo come Putin è stato un grave errore. Ma è diabolico perseverare. Chiedere a Bismarck, che l’aveva capito 150 anni fa: «Conosco cento modi per far uscire l’orso russo dalla tana, ma nemmeno uno per farcelo rientrare».

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