MAI PIU’: 31 AGOSTO 1934 – LE DONNE E IL LAVORO SECONDO MUSSOLINI

DI RINALDO BATTAGLIA

RINALDO BATTAGLIA

 

Una delle altre più grandi fake-news sul fascismo, non a caso sempre ad oggi alquanto nascosta dai media della nostra Italia post-fascista, riguarda il ruolo della donna nell’universo ‘fascista’, dove non è un caso nei vertici di Mussolini, come parimenti del partito nazista – e perché no, anche quello comunista al Cremlino – non figurassero donne.

Del resto non è per niente casuale che già il 20 gennaio 1927, dopo aver bene consolidato con le Leggi Fascistissime il suo potere, che il Duce abbia ridotto alla metà gli stipendi e i salari delle donne stesse.

Anni dopo un economista di provata fede fascista, quale Ferdinando Loffredo, nella sua ‘Politica della famiglia’ del 1938, spiegò meglio le ragioni di tale scelta: «La indiscutibile minore intelligenza della donna ha impedito di comprendere che la maggiore soddisfazione può essere da essa provata solo nella famiglia, quanto più onestamente intesa, cioè quanto maggiore sia la serietà del marito […]

Il lavoro femminile crea nel contempo due danni: la ‘mascolinizzazione’ della donna e l’aumento della disoccupazione maschile. La donna che lavora si avvia alla sterilità; perde la fiducia nell’uomo; concorre sempre di più ad elevare il tenore di vita delle varie classi sociali; considera la maternità come un impedimento, un ostacolo, una catena; se sposa difficilmente riesce ad andare d’accordo col marito; concorre alla corruzione dei costumi; in sintesi, inquina la vita della stirpe».

Interessante, peraltro, per scavare nell’animo del pensiero fascista di allora, il punto in cui si dice: “concorre sempre di più ad elevare il tenore di vita delle varie classi sociali” ossia non solo la donna è ‘colpevole’ di contribuire a migliorare la situazione economica della sua famiglia, ma anche di elevare il tenore di vita dei poveri, che evidentemente se non restano tali potrebbero arrecare disturbo ad altri.

E se le parole dell’economista di Mussolini, a quel tempo importante funzionario dell’INPFS (da cui poi, nel dopoguerra, nascerà l’INPS (la F in più sta per “fascista” ovviamente), non fossero eloquenti ci pensò a precisare e rafforzare il dogma lo stesso Duce, sul suo Il Popolo d’Italia del 31 agosto 1934:

L’esodo delle donne dal campo di lavoro avrebbe senza dubbio una ripercussione economica su molte famiglie, ma una legione di uomini solleverebbe la fronte umiliata e un numero centuplicato di famiglie nuove entrerebbero di colpo nella vita nazionale. Bisogna convincersi che lo stesso lavoro che causa nella donna la perdita degli attributi generativi, porta all’uomo una fortissima virilità fisica e morale”.

Siamo negli anni del ’Dio, Patria, Famiglia’ refrain tornato slogan in alcune campagne elettorali recenti e attuali.

Chissà come mai? La donna doveva insomma ‘essere collocata in casa, a fare figli’.

Si capisce bene, oggi, quindi la ratio del Regio Decreto n. 2480 del 9 dicembre 1926 che sanciva che ‘le donne saranno escluse dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei, verranno tolte loro alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie, si vieterà loro di essere nominate dirigenti o presidi di istituto’ e, meglio, quello successivo del 6 maggio, inserito nella Riforma Gentile che vietava ‘alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie. Per estirpare il male veramente alla radice, saranno raddoppiate le tasse scolastiche alle studentesse, scoraggiando così le famiglie a farle studiare’.

E se questo riguardava il mondo ‘scuola/cultura’ non diversamente, per coerenza se non altro, si intervenne nel mondo del lavoro femminile, dove la legge 221 del 1934 limiterà notevolmente le assunzioni femminili ‘stabilendo sin dai bandi di concorso l’esclusione delle donne o riservando loro pochi posti’, mentre col decreto legge del 5 settembre 1938 si fisserà con precisione ‘un limite del 10% all’impiego di personale femminile negli uffici pubblici e privati’.

E si potrebbe andare avanti con decreto n. 989 del 1939 che precisava quali ‘impieghi statali’ potessero essere assegnati alle donne (ovviamente di serie B, se non C o D).

Non si è trovata documentazione se i servizi di ‘bunga bunga’ fossero regolamentati ed inseriti nell’elenco. Ma certi articoli del ministro Giovanni Gentile, quello della ‘ristrutturazione della scuola italiana’, su ‘La donna nella coscienza moderna’ del 1934 darebbero spazio probabilmente a pochi dubbi: “La donna non desidera più i diritti per cui lottava […] (si torna) alla sana concezione della donna che è donna e non è uomo, col suo limite e quindi col suo valore […].Nella famiglia la donna è del marito, ed è quel che è ,in quanto è di lui”.

Erano gli anni del ’Dio, Patria, Famiglia’, vecchio refrain, tornato slogan di recente e persino quale pilastro anche di freschi discorsi delle nostre tv commerciali, tra una soap-opera e un salotto da talk-show. Come quando di recente, a Sanremo 2020, si scelse una presentatrice, compagna di vita di un noto campione sportivo (ammesso che fosse un merito professionale), ‘perché sa stare un passo indietro al proprio uomo’.

E’ questa la donna, la figura della donna, nel 2022, nel terzo millennio?

Viene sì da chiedersi: ‘Quando finirà la sofferenza?’ come si chiedevano le donne nel lager di Terezìn, ai tempi della Shoah.

E prima ancora, chiedere a chi si vanta di esser del partito nato sull’eredità del ‘Ma ha fatto anche cose buone’, magari se donna – e considera convinta Mussolini il più grande politico italiano del secolo scorso – quale sia il suo pensiero in merito. Sempre ‘Dio, Patria, Famiglia’?

Del resto a Budapest un noto influencer del club risulta già avanti sulla strada.

Talvolta per davvero mi sembra di vivere nel mondo di Orwell al tempo del suo: “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” .

Basterebbe aggiungere solo: ‘meno diritti alle donne è progresso’.

31 agosto 2022 – 88 anni dopo il discorso del Duce – Rinaldo Battaglia

liberamente tratto da da “Non ho visto farfalle a Terezìn” – ed. AliRibelli 2021