POLITICA, DONNE E DIRITTO ALL’ABORTO

DI GIOACCHINO MUSUMECI

 

Tra gli argomenti scottanti in cui la Dx conservatrice annaspa c’è il diritto all’aborto.
Chiara Ferragni, notissima influencer, ha innescato una polemica dichiarando che nella regione Marche, governata da Fratelli D’Itala, l’amministrazione attui una politica antiabortista.
Ciò ha suscitato l’intervento di FDI attraverso Isabella Rauti ed Eugenia Roccella: “Se la stampa e le influencer vogliono occuparsi seriamente dell’aborto nella regione Marche, dovrebbero informarsi sulla base dei dati e consultare le relazioni annuali al Parlamento sulla legge 194. Per esempio, leggendo l’ultima firmata dal ministro Speranza si evince che nelle Marche l’offerta del cosiddetto servizio di IVG è di gran lunga superiore a quella nazionale: le interruzioni volontarie di gravidanza, possono essere effettuate nel 92,9% delle strutture sanitarie mentre la media italiana è del 62%”.
Sfortunatamente per FDI la dichiarazione non dimostra che nelle Marche l’aborto non sia osteggiato: compare solo una percentuale attestante che nel 92% delle strutture sanitarie, non si sa se pubbliche o private, sia possibile effettuare l’interruzione di gravidanza. Ma il dato non serve se non sappiamo quante richieste di IVG sono state sottoposte alle strutture sanitarie e quante sono andate a buon fine. Oltre questo sarebbe opportuno conoscere quanti medici e personale sanitario obiettore di coscienza operi nelle Marche.
Per capirci se nel 62% delle strutture nazionali su 10 richieste di IVG 9 vanno a buon fine, possiamo dire che il diritto all’aborto è garantito.
Ma si può avere anche il 100% di strutture disponibili col 70 % di medici obiettori e le cose si complicano di molto. Oppure il 100% di strutture autorizzate ma solo il 5% di interruzioni. Dunque Rauti e Roccella, distanti da quadri realistici e completi della realtà, offrono dati parziali e omettono la fotografia scattata dall’ultima Relazione sull’aborto al Parlamento da cui emerge che, in totale, nel 2020 sono state notificate 66.413 IVG con un tasso di abortività pari a 5,4 ogni mille donne tra i 15 e 49 anni. Uno dei più bassi a livello internazionale.
Al contempo restano molto elevati i valori percentuali di personale medico e non medico che esercita il diritto all’obiezione di coscienza all’esecuzione dell’interruzione di gravidanza, fatto che Rauti e Roccella considerano addirittura irrilevante nonostante sia evidente il contrario: l’obiezione riguarda 2 ginecologi su 3 e quasi 1 anestesista su 2, con picchi superiori all’80% in alcune regioni. La media nazionale è del 64,6%, ciò significa che i medici antiabortisti sono numericamente di molto superiori agli abortisti.
E’ consequenziale che la nostra società sia laica sulla carta ma profondamente condizionata da pregiudizi di stampo religioso nella quotidianità. Bisognerebbe cominciare a proporre agli integralisti antiabortisti l’idea che nessuna donna abortisce per gioco, casomai è l’extrema ratio davanti a un problema evidentemente non risolvibile altrimenti. Ma oltre questo ciascuna donna deve poter esercitare il proprio diritto senza incorrere nella discriminazione perché di fatto la gravidanza riguarda la donna e basta, non Gesù Cristo sulla croce o risorto. In altre parole l’indirizzo religioso nazionale, che non si può certo imporre, non deve condizionare i diritti civili e questo dovrebbe essere chiaro da un bel pezzo. Apposta le regioni devono vigilare affinché vi sia un numero di figure professionali sufficiente da garantire alle donne la possibilità di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, come indicato nell’articolo 9 della legge n. 194/78. “Ciò per tutelare il libero esercizio dei diritti sessuali, l’accesso ai servizi IVG e minimizzare l’impatto dell’obiezione di coscienza nell’esercizio di questo diritto”.