CARMELO IANNI’, VITTIMA DELLA MAFIA E DELLA NONCURANZA DI CHI GLI CHIESE AIUTO SENZA POI RICAMBIARLO

DI LEONARDO CECCHI

 

Lo Stato gli chiese di dare una grossa mano. A lui che non era giudice, poliziotto, funzionario. Ma solo un privato cittadino con un grande senso civico.

Gliela chiese perché dei mafiosi marsigliesi erano nel suo albergo. Erano lì per insegnare a Cosa Nostra come si tagliava l’eroina. La polizia era sulle loro tracce ma non aveva prove, e così chiese a Iannì di coprire degli agenti mentre entravano travestiti da dipendenti dell’albergo.

Non ci pensò due volte e disse di sì. Li coprì e li aiutò per settimane, dando un contributo enorme alle indagini, senza fiatare e senza lamentarsi. Portando infine all’arresto di tutti i mafiosi, compreso un grosso boss, Geraldo Alberti.

Quel senso civico, Carmelo Iannì lo pagò pochi giorni dopo. Perché lo Stato commise l’errore di far arrestare quei mafiosi dagli stessi poliziotti che Iannì aveva coperto. Dal carcere, il boss diede l’ordine di ucciderlo. E il 28 agosto 1980, due uomini entrarono nel suo albergo e lo crivellarono di colpi.

All’uomo, al cittadino, all’imprenditore Iannì, vittima della mafia e della noncuranza di chi gli chiese aiuto senza darlo, ed esempio di un senso civico come pochi se ne son visti, in questo giorno il ricordo di tutta Italia.