GAS ARMA MORTALE NELLA GUERRA DELLE SANZIONI, GLI SPECULATORI E LE SOLIDARIETA’ INCERTE

DI PIERO ORTECA

 

 

Il gas tiene sotto pressione l’economia dell’Europa e la Federal reserve Usa dà lezioni alle altre banche centrali avendo alla spalle economia e risorse energetiche molto diverse.
«Ormai non è più la classica crisi scaturita da uno squilibrio tra domanda e offerta. No, è qualcosa di molto diverso: un gioco al massacro, con cui la speculazione internazionale si arricchisce, mandando a picco l’economia di un intero continente», l’allarme senza sconti di Piero Orteca.

Gli speculatori al mercato di Amsterdam

Anche ieri il prezzo del gas ha toccato livelli intollerabili, a 339 euro al Megawattora. Si tratta di quotazioni che nemmeno la guerra scatenata contro l’Ucraina riesce a giustificare. Il sistema con cui viene fissato il prezzo del gas naturale, sul mercato di Amsterdam, fa acqua da tutte le parti. Sembra organizzato apposta per premiare i traffichini e i trafficanti, che lucrano fortune immense alla faccia di centinaia di milioni di cittadini europei. Costretti a stringere la cinghia. Questa specie di Catena di Sant’Antonio si regge solo grazie all’incapacità della Commissione di Bruxelles o, peggio, alla inconsapevole complicità di inetti burocrati, che tengono bordone a questo scempio finanziario.

La solidarietà di convenienza

La verità è che la solidarietà tra i Paesi dell’Unione esiste solo nei comunicati stampa. Poi, ognuno, nel chiuso delle Cancellerie fa quello che più gli interessa. Tutti ricordano le battaglie, coraggiose ma senza esito, condotte dal nostro premier Mario Draghi, per mettere un tetto collettivo al prezzo del gas. Fare “consortium” sarebbe una mossa che ci farebbe trattare da una posizione di forza con i Paesi produttori. Ma questo finora non si è fatto. Perché, al di là della diplomazia ufficiale, esistono relazioni internazionali bilaterali, in cui ognuno cura il proprio orticello.

In Italia, effetto devastante

In Italia, l’impatto sulla struttura produttiva e su quella sociale dell’aumento del prezzo del gas è devastante, sia per la sua portata che per la velocità dell’escalation. Si pensi solo che, ieri, il costo dell’energia elettrica ha superato gli 800 euro al Megawattora, per poi attestarsi intorno ai 720 euro. Cioè, oltre 200 euro in più di una settimana fa. In queste condizioni, le aziende “energivore”, cioè quelle che consumano molto elettricità per trasformare materie prime e semilavorati, non hanno scampo: in breve tempo saranno destinate a chiudere. Tutti i nostri politici, ovviamente, si sono mobilitati annunciando “provvidenze”. Che servono solo a mettere una pezza, perché tutti capiscono che, comunque, il problema non si risolve con i “ristori”. Diciamo che lo Stato dovrà fare altro debito (se non vorrà mettere altre tasse) per evitare “tensioni sociali”.

Stati Uniti sempre più lontani

E qui inseriamo una seconda riflessione, distante 6000 km dalla prima, eppure ad essa indissolubilmente legata. Parliamo del discorso fatto a Jackson Hole (Wyoming) dal Presidente della Federal Reserve, Jérome Powell, il quale ha annunciato che la Banca centrale americana proseguirà una politica di rialzo dei tassi di interesse “abbastanza decisa”. Che vuol dire e a noi che interessa? Significa che a settembre alzerà i tassi di altri 75 punti base, perché negli Usa sono convinti che l’inflazione non sia facile da domare. Insomma, gli è scappata di mano. La FED fa scuola e, in genere, viene immediatamente eseguita nelle sue strategie dalla Bank of England. E, adesso, che il piatto piange, a maggior ragione anche della BCE, cioè dalla Banca centrale europea, che il prossimo 8 settembre ritoccherà il costo del denaro.

Sommersi dal debito

A questo punto, anche chi è digiuno di Scienza delle finanze, comincia ad afferrare un concetto: se abbiamo la stessa inflazione degli Stati Uniti e loro alzano i tassi (arriveranno al 3,25%), è probabile che li alzeremo pure noi (il tasso principale della BCE per ora è a 0,50). Comunque vada, se li alzeremo di 0,50% o di 0,75%, il risultato finale sarà che, probabilmente, l’inflazione non diminuirà e il Pil frenerà. Però aumenterà pericolosamente il debito pubblico, perché lo Stato dovrà continuare a spendere per tappare i buchi di una politica energetica che non abbiamo mai avuto. Spendere significherebbe emettere titoli del debito pubblico italiano che qualcuno dovrà comprare. La BCE si è impegnata a fare qualcosina, ma non il “quantitative easing”, gli aiuti di prima: quello che lo possiamo scordare.

Dovremmo alzare anche noi i tassi per collocare i titoli, perché a quel punto la strategia di molti mancati Premi Nobel, che affollano le aule di Montecitorio e Palazzo Madama, sarà sempre la stessa: fare debiti, per pagare i debiti di ieri e per potere fare quelli di domani.

Articolo di Piero Orteca dalla Redazione di:

27 Agosto 2022

 

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PIERO ORTECA

Piero Orteca, giornalista, analista e studioso di politica estera, già visiting researcher dell’Università di Varsavia, borsista al St. Antony’s College di Oxford, ricercatore all’università di Maribor, Slovenia. Notista della Gazzetta del Sud responsabile di Osservatorio Internazionale.