AFGHANISTAN DEI TALIBAN 2.0 – COME PRIMA, PIU’ DI PRIMA

DI ENNIO REMONDINO

 

A un anno dalla ritirata degli Stati Uniti, il governo dei ‘nuovi taliban’ ha infranto tutte le promesse sottoscritte con gli Stati Unit e garantite da Washington agli alleati Nato coinvolti, nell’analisi Limes. L’ombra di Al-Qāʿida, la rete Haqqani e gli attentati dell’Isis-K sotto osservazione di Francesca Marino. La Cina si avvicina, ma il Pakistan detta ancora le regole.

Telebani 2.0, studenti coranici solo invecchiati

È passato un anno da quando, per usare le parole dell’ex-premier pakistano Imran Khan, «Gli afghani ‘hanno spezzato le catene della schiavitù’ e il mondo ha potuto ammirare i taliban 2.0, la “buona, aperta e gentile versione dei nefasti studenti di teologia” degli anni Novanta», esaltava Imran Khan allora premier pakistano, mentre i nuovi taliban mangiavano gelati, andavano sull’autoscontro e facevano selfie con gli stranieri rimasti a Kabul, ci ricorda Francesca Marino. Ora Imran Khan non è più premier, e al Qaeda deve nascondere il suo leader al Zahawiuri a Kabul, per poi farselo ammazzare.

Gli inganni e chi ci vuol credere

I talebani avevano solennemente promesso agli Stati Uniti che avrebbero formato un governo inclusivo, rispettato i diritti umani e delle donne, promulgato un’amnistia per tutti coloro che avevano lavorato al soldo degli odiati stranieri e rescisso ogni legame con Al-Qāʿida e non avrebbero autorizzato l’uso del loro territorio per formazioni terroristiche di vario genere. O ingenuità stupida di chi ci ha creduto, o cinica fretta di scappare, a qualsiasi costo per gli afghani.

Regressione progressiva e inarrestabile

«Il governo è stato formato, sotto l’egida dei servizi segreti pakistani nel settembre 2021: doveva essere un governo inclusivo e ad interim, in attesa di nuove elezioni». A dicembre la Commissione elettorale è stata abolita poiché «non ne vediamo l’utilità; se dovesse servire, creeremo in futuro una Commissione islamica ad hoc». Altra vittima primaria ed evidente, il genere femminile, praticamente cancellato dalla vita pubblica. La musica è stata abolita e gli strumenti musicali adoperati per scaldarsi nelle notti d’inverno. Agli uomini è stato vietato di radersi. Ai giornalisti è stato caldamente consigliato di non dare notizie o commenti “non islamici”.

“Diamo una possibilità ai taliban”

Continuando a citare Imran Khan, «i diritti umani non hanno lo stesso significato dappertutto». Infatti. E di terrorismo, non parlava più nessuno. «Fino a che, a giugno, un rapporto delle Nazioni Unite ha praticamente scoperto l’acqua calda: Al-Qāʿida è viva e vegeta e dispone di rifugi piuttosto sicuri. La sua libertà d’azione è aumentata da quando i taliban sono al potere, così come sta aumentando la capacità del gruppo di lanciare attacchi a lungo raggio».

300 matrimoni terroristi

«Il rapporto evidenziava anche il legame tra gli haqqani e Al-Qāʿida e i circa trecento matrimoni contratti tra famiglie appartenenti a entrambi i gruppi terroristici». Secondo il rapporto, il ministro degli Interni del governo di Kabul Sirajuddin Haqqani sarebbe un membro effettivo di Al-Qāʿida. Non un membro generico, ma un membro di rilievo dei vertici dell’organizzazione. Molto più pericoloso e attivo del vecchio e malato al-Zawahiri ucciso a fine luglio.

Aerei cinesi a Bagram

Secondo fonti afghane, un certo numero di aerei militari della Cina è atterrato a Bagram nel mese di ottobre 2021. Cinesi insieme a elementi appartenenti al corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e agli immancabili membri dei servizi pakistani, il famigerato Isi. Secondo altre fonti, i cinesi addestrerebbero milizie haqqani anche a Miranshah, Peshawar e Quetta.
«Quella rete Haqqani che ha legami, oltre che con Al-Qāʿida, anche con l’Isis-Khorasan, anch’esso sotto il controllo dell’Isi pakistana, a cui sembra sia stato affidato il lavoro sporco».

Amici interessati, nemici prudenti

I ripetuti attacchi dell’Isis-K per far passare il messaggio che Al-Qāʿida non è più una minaccia e che i taliban hanno bisogno di essere armati e addestrati per combattere i loro nemici. Persino nell’India induista e anti musulmana di Modi che ha adottato una politica ‘morbida’ nei confronti dei terroristi di Kabul, per far dispetto all’avversaria Cina e al nemico Pakistan. la vecchia inclinazione al pragmatismo della real-politik.

Cina per l’eredità americana in Centrasia

La Cina che non ha mai chiuso la sua ambasciata a Kabul ha obiettivi precisi, con l’Afghanistan nelle vie della seta. «Pechino vanta contratti firmati per lo sfruttamento delle miniere di rame di Mes Aynak e del petrolio delle provincie di Faryab e Sari Pul». Partita politica di scambio, i militanti uiguri che i Taliban non sembrano intenzionati a consegnare nonostante le promesse, segnala sempre Francesca Marino. Kabul chiede alla Cina un aiuto per il riconoscimento internazionale del loro governo, che farebbe aprire –forse- le casse del tesoro agli americani.

La Russia, prudente ritorno

«La Russia ha stabilito rapporti con i taliban fin dal 2017, ma è ancora abbastanza diffidente. Soprattutto perché si rincorrono voci sempre più insistenti di una profonda spaccatura dentro al governo di Kabul. Baradar contro Haqqani, fazione ‘afghana’ contro i pakistani allevati nella madrasa di Haqqania». Anche l’Iran non ha chiuso la propria ambasciata, monitorando il trattamento riservato agli sciiti dell’Afghanistan. Bersaglio lasciato al lavoro sporco dell’Isis-K.

l Pakistan ora tornato amico Usa

Al momento, il Pakistan controlla il governo di Kabul e probabilmente otterrà il sospirato prestito del Fondo monetario internazionale in cambio dell’aiuto nell’uccisione di al-Zawahiri. «Islamabad che si è assicurata un posto in cui spostare scomodi jihadisti al momento del bisogno e una posizione più che strategica fra Cina e Afghanistan e tra Afghanistan e Usa»

20 anni dopo il nulla

“Dopo più di 20 anni nulla è cambiato: la strategia americana nella regione continua a essere incentrata sul Pakistan, sui suoi doppi e tripli giochi, e sulla malafede di Islamabad”.

Da:
17 Agosto 2022

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ENNIO REMONDINO

Giornalista prima nella carta stampata, poi 40 anni di radio televisione, per finire col web. Inviato speciale al Tg1 tra terrorismo, trame e mafia, corrispondente estero Rai per ‘Europa centro sud orientale’ con sedi successive a Belgrado, Gerusalemme, Berlino e Istanbul. Reporter nelle guerre balcaniche, dall’assedio di Sarajevo ai bombardamenti Nato sulla Jugoslavia per il Kosovo, in Iraq, Medio Oriente, Afghanistan. Ora, ‘diversamente giovane’, Remocontro.it per non perdere il vizio.