CINEMA D’AUTORE

DI MARIO PIAZZA

 

A noi boomers intellettualoidi Zelig non fa venire in mente i cabaret televisivi o teatrali, è invece uno splendido film di Woody Allen del 1983 che con grande preveggenza trattava il trasformismo come una vera e propria malattia.
Nel film Zelig era considerato un fenomeno da baraccone per la sua capacità di cambiare istantaneamente i propri connotati fisici, il modo di parlare, la cultura e persino lo spazio fisico e temporale della propria vita passando in un batter d’occhio dal personaggio del rabbino newyorkese a quello del gerarca nazista al fianco di Hitler.
Oggi nessuno sembra farci più caso, conviviamo con la malattia di Zelig e chi ne è affetto in forma grave riscuote addirittura successo e ammirazione. Annullare a piacimento se stessi per adattarsi alle circostanze come fanno Meloni, Salvini, Di Maio e tanti altri non suscita più alcuna preoccupazione.
E’ come se il nostro cane di casa potesse indifferentemente scodinzolare o azzannarci alla gola e la cosa non ci riguardasse, e invece di spedirlo in un canile o farlo rieducare da un professionista continuassimo a servirgli succulente ciotole straripanti di voti.